6  gennaio 2011 – Epifania del Signore

Is 60,1-6 ; Ef 3,2-3a.5-6 ; Mt 2,1-12

 

Omelia

 

            Quando nacque Gesù, il vecchio re Erode (detto il Grande) era negli ultimi anni del suo lungo regno.  Non aveva niente di un anti-religioso. Piuttosto sapeva mostrarsi interessato al lato religioso, come sanno fare i politici abili, compresi i dittatori. Non aveva forse intrapreso la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme ?

            Non aveva niente di anti-religioso e niente di religioso. Era semplicemente un uomo di potere, ma il suo potere era molto fragile, poiché era re della Giudea, mentre la Giudea era sotto il controllo dei Romani. Era dunque un uomo inquieto, turbato, paranoico. Non ce l’aveva con la religione ebraica, né con Gesù, né con i bambini di Betlemme. Era semplicemente preoccupato di conservare i suoi privilegi.

            Sarà lo stesso per suo figlio, che stimava Giovanni Battista, eppure lo fece mettere a morte per non perdere la faccia dopo aver fatto una promessa imprudente, e che più tardi avrebbe lasciato che Gesù fosse messo a morte, mentre lo sapeva innocente e avrebbe voluto salvarlo; ma non  voleva soprattutto essere considerato un nemico di Cesare.

            E cosi’ sarà spesso nel corso dei secoli, fino ai nostri giorni. La notte di Capodanno, un attentato contro una chiesa copta ad Alessandria in Egitto ha fatto 21 morti e molti feriti. Alcune settimane prima, all’inizio di novembre, una serie di attentati contro i cristiani in Irak aveva fatto altre decine di vittime. Eppure i copti in Egitto, come i cristiani in Irak, sono due piccole minoranze senza potere, ma la cui semplice presenza influisce sull’equilibrio dei diversi poteri in campo.

            Tutte le grandi autorità politiche e religiose della Comunità Internazionale hanno condannato all’unisono questi attacchi con formule stereotipate e scontate, che spesso danno l’impressione di operazioni di copia-incolla.  Ma che effetto potranno avere tutti questi appelli alla tolleranza religiosa, se questa persecuzione è dovuta semplicemente al fatto che questi poveri cristiani si trovavano nel posto sbagliato sullo scacchiere di coloro che vivono per il potere, come fu il caso di Giovanni Battista, di Gesù e, più recentemente, per i nostri fratelli di Tibhirine ?

            Tenendo ben presenti questi fatti, ritorniamo ai testi biblici della messa di oggi.  La parte del Libro di Isaia, di cui abbiamo letto un passo come prima lettura, fu scritta all’epoca della restaurazione, cioè del ritorno a Gerusalemme degli esuli di Babilonia. Quando questi esuli arrivarono in Israele, trovarono le loro città distrutte, i loro campi accaparrati da altri, le loro case dilapidate e soprattutto il Tempio incendiato. Provarono allora un profondo scoraggiamento. Il profeta cerca di ridare loro speranza annunciando loro non soltanto la ricostruzione del Tempio e della loro città, ma profetizzando che Israele sarebbe di nuovo diventata una città potente, il centro del mondo, verso il quale sarebbero convenute tutte le nazioni. Era una visione superba, incoraggiante, ma anche riduttrice della storia della salvezza, come se Dio fosse il Dio di un solo popolo.

            Il Vangelo ci apre prospettive molto più ampie. Si, vengono tutte le nazioni, rappresentate simbolicamente dai tre re magi, ma non vengono verso una terra determinata né verso un popolo, ma verso un bambino - un bambino che sarà anche

Lui rifiutato dal suo popolo e che del resto dovrà andarsene fuori dal suo paese, fin dai suoi primi giorni di vita.            I magi vengono a presentare i loro omaggi e ripartono. La salvezza portata dal bambino deposto nella mangiatoia è per tutti i popoli e per tutte le parti dell’universo. Quelli che vengono a lui, li rimanda a casa loro, e lui stesso parte verso l’estero.

            Tutte le persecuzioni religiose di cui siamo oggi testimoni – e quelle contro i cristiani non sono le uniche – sono per noi fonte di una grandissima tristezza.  E non sono gli appelli, per quanto solenni, alla libertà religiosa che le faranno cessare. Cesseranno se l’umanità arriverà a stabilire delle relazioni tr            a i popoli, tra le culture e tra le religioni, che siano basate sul rispetto e l’amicizia, e non sullo sfruttamento o su un semplice equilibrio dei poteri.

            Che lo vogliamo o no, siamo tutti immersi in questo grande gioco di equilibrio geo-politico. Nessuno tra di noi si fa illusioni: non abbiamo presa sui comandi di questo gioco. Ma tutti noi possiamo portare il nostro piccolo contributo – e siamo chiamati dalla nostra fede a farlo – incarnando nelle nostre vite di ogni giorno, là dove ci troviamo, il primato dell’amore, e non del potere, del rispetto dell’altro, e non del suo sfruttamento.

            Il Bambino della mangiatoia ce ne dà l’esempio. Se noi non torniamo ad essere come quel Bambino, di cui tutta l’autorità è fondata sulla debolezza, non entreremo nel Regno dei Cieli.

 

Armand VEILLEUX

 

Stessa omelia in francese

Omelie per la stessa solennità degli anni precedenti

 

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