6 gennaio 2009 – Epifania del Signore

Is 60,1-6 ; Ef 3,2-3a.5-6 ; Mt 2,1-12

  

 

Omelia

 

            L’oggetto della celebrazione odierna non è diverso da quello della festa di Natale. In entrambe queste feste celebriamo la manifestazione (in greco : epiphaneia) di Dio nel cuore della nostra storia con l’incarnazione del suo figlio  in Gesù di Nazareth. Una nota importante caratterizza tuttavia la celebrazione di oggi. È quella dell’universalità della salvezza. Anche se Gesù, nato da Maria, è figlio di Israele, la salvezza di cui è portatore è destinata a tutte le nazioni della terra, a tutti gli uomini e a tutte le donne di tutti i tempi. È questo il tema centrale di ciascuna delle tre letture della messa di oggi.

            Le nostre celebrazioni liturgiche degli ultimi giorni, a partire dalla Messa di Mezzanotte di Natale, hanno molto utilizzato i primi due capitoli del Vangelo di Luca, di cui abbiamo esaminato tutto il simbolismo e tutti sensi reconditi. Oggi la nostra lettura del Vangelo è tratta dal Vangelo di Matteo, il quale, malgrado una apparenza più fattuale e più storica, ci parla con un linguaggio altrettanto simbolico e misterioso.

            Matteo riassume in una sola frase tutto ciò che ha da dire sulla nascita di Gesù : « Gesù – dice – era nato a Betlemme di Giudea, al tempo di re Erode il Grande ». Se prestiamo attenzione ai dettagli del suo racconto, vedremo che Matteo  fa la stessa cosa che fa Luca : tutti i dettagli che mette nel racconto  del solo evento concernente la nascita di Gesù, prefigurano gli eventi degli ultimi giorni di Gesù.

            Matteo fa dapprima apparire il re Erode il Grande, che già prefigura l’altro Erode, suo figlio, davanti al quale Pilato farà comparire Gesù al momento del suo processo. E tutti coloro che Erode convoca  per sapere dove doveva nascere il re dei Giudei sono gli stessi – i capi dei sacerdoti e gli scribi – che si presenteranno davanti a Pilato e all’altro Erode per reclamare la morte di Gesù, accusandolo di essersi dichiarato re dei Giudei. Quanto ai Magi, essi rappresentano la folla che gridava « osanna al figlio di David, il re di Israele », ma una folla che ora non è più soltanto di ebrei, ma proviene da tutte le nazioni che essi rappresentano. E quei bambini di Betlemme che Erode ordinerà di assassinare rappresentano i martiri della prima generazione cristiana e quelli di tutti i tempi.

            I capi dei sacerdoti e gli scribi attendevano un messia glorioso e non hanno potuto riconoscere il vero Messia quando è venuto. Il popolino, rappresentato dai pastori, e le nazioni pagane, rappresentate dai Magi, hanno saputo riconoscerlo nell’umile bambino nelle braccia di sua madre. Essi lo hanno adorato e gli hanno offerto i loro omaggi, sotto la forma di doni.

            L’ultima frase di questo racconto è misteriosa, e comporta senza dubbio numerosi significati che non finiremo mai di scoprire. « Avvertiti in sogno di non ritornare da Erode, essi ritornarono ai loro paesi per un’altra strada ». Il sogno nella Bibbia, non è mai un semplice sogno. È una esperienza spirituale attraverso la quale qualcuno scopre la volontà di Dio su di lui entrando profondamente dentro se stesso.  Nel caso dei Magi non è leggendo gli scritti ebraici che essi avevano appreso la nascita del Salvatore, ma contemplando il cielo stellato, e così pure, attraverso una esperienza di interiorità essi  sono arrivati a percepire la falsità di Erode ; proseguiranno ormai per la loro strada, senza  preoccuparsi dell’antico Israele, facendo ritorno ai loro propri paesi,  alle loro proprie culture ed esperienze spirituali, portatori della scoperta che hanno fatto personalmente della Salvezza, portata da Dio a tutte le nazioni.

            Così si realizza la profezia di Isaia, contemplante in una visione tutte le nazioni convergenti verso Gerusalemme per venire a rendere omaggio al Salvatore e ripartirne (cfr. la prima lettura). È questa disposizione della Provvidenza, difficilmente accettabile, e perfino difficilmente comprensibile per gli Ebrei, che Paolo, più ebreo di chiunque altro, ma conquistato da Cristo, chiama il « mistero » per eccellenza. Questo mistero consiste nel fatto che la salvezza  è offerta a tutti gli uomini e a tutte le donne di tutte le nazioni e di tutti i tempi, e che bisogna loro dirlo !

            La Chiesa – la nostra Chiesa – che aveva ceduto per parecchio tempo alla tentazione del  ripiegamento su se stessa e insieme del proselitismo,  improvvisamente ha riscoperto in modo mirabile, durante il Concilio Vaticano II,  ciò che Paolo chiama il « mistero ». In uno dei grandi documenti del Concilio, la « Nostra aetate » essa ha riconosciuto l’azione di Dio in tutte le grandi religioni dell’umanità, chiamando ad uno spirito di fraternità e di dialogo. Più di quarant’anni dopo il Concilio, è sempre così importante conservare viva la nostra fede nella possibilità e necessità di un dialogo propriamente religioso tra i credenti delle diverse religioni, vale a dire un dialogo in cui, senza mai mettere tra parentesi la propria fede, ci si incontra al livello di ciò che è più intimo nella nostra vita, il nostro incontro con Dio, al di là di tutte le teologie e di tutti i sistemi. Sia l’anno paolino, sia questa bella festa dell’Epifania ci invitano a realizzarlo.

 

Armand Veilleux                                                             

 

Bambini di Gaza 2009

        

 "Rachele piange i suoi figli ..."

Al meno 75 bambibi uccisi negli ultimi giorni...

"...quando lo avrete trovato, fatemelo sapere..." (Matt 2,8)

 

 

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