15 agosto 2007 -- Solennità dell'Assunzione di Maria
Apoc 11,19; 12, 1...10; 1 Cor 15, 20-26; Lc 1, 39-56

 

Omelia

 

            Questo vangelo  è di una tale freschezza, che ci procura una sorta di sollevo, dopo la lettura dell’Apocalisse, che ci parlava della lotta tra il drago e la donna, che col  suo tallone gli schiaccerebbe la testa, e di suo figlio, che andava a pascolare le nazioni con uno scettro di ferro. Stessa cosa nella seconda lettura, dove San Paolo parlava di Cristo, come primogenito tra i morti, che distrugge tutte le potenze del male  calpestando tutti i suoi nemici. Quale violenza!

                E poi, ad un tratto, all’inizio del suo vangelo, Luca ci mostra una ragazzina di Israele, da poco incinta, correre per i monti della Giudea per venire a salutare la sua anziana cugina, anche lei incinta nella sua età avanzata. Ma non lasciamoci incantare troppo facilmente da questa freschezza e torniamo alla nostra prima lettura, anzi, andiamo oltre. Perché in tutte queste letture, come del resto nel tema stesso della solennità di oggi, si tratta della vittoria – non della violenza – ma sulla violenza.

            Dietro la descrizione dell’Apocalisse che riguarda la lotta tra la donna e il drago, vi è, in filigrana, il racconto simbolico della Genesi. In un mondo di totale armonia tra tutti gli esseri creati e Dio, è stato seminato un seme di violenza. Questo seme è l’orgoglio, che ricerca l’importanza personale. “Voi sarete come dei”, dice il serpente alla donna. “Avrete la conoscenza del bene e del male, che vi darà una superiorità”. Allora ha fatto il suo ingresso nella storia umana la violenza, che  si manifesta subito con l’assassinio di Abele per mano di suo fratello Caino. Da allora, tutta la storia umana è la storia della violenza degli uomini gli uni contro gli altri,  ma anche la storia di uomini e donne che, sotto l’ispirazione dello Spirito, imparano  a gestire la violenza nel loro proprio cuore, e concorrono a rendere più vicino il giorno in cui l’umanità ne sarà liberata – il giorno che il libro dell’Apocalisse descrive come la venuta della Gerusalemme celeste, e che i Vangeli descrivono  come il ritorno del Figlio dell’Uomo.

            Non possono fronteggiare in modo positivo  la violenza umana se non coloro che l’hanno già vissuta nel loro proprio cuore, come per esempio, nella nostra epoca, Gandhi e Martin Luther  King, o come Gesù e Maria, nel cuore dei quali la violenza non ha mai regnato.

            Sappiamo come la maggior parte delle lotte contro la violenza generano ancora più violenza, perché la maggior parte di coloro che le fanno portano anche molta violenza nei loro cuori. Gesù può esprimere giudizi severi contro i Farisei e può anche a volte usare violenza fisica, come quando scaccia i venditori dal Tempio, perché non ha alcun odio nel suo cuore, perché è pieno d’amore e perché egli stesso è l’incarnazione dell’amore di Dio per tutti gli esseri umani.

            Ma torniamo, dopo questa lunga digressione, al nostro Vangelo. Vi ritroviamo Maria, che tutta la tradizione cristiana ha visto prefigurata nella donna della Genesi che dovrà schiacciare un giorno la testa del serpente, e anche nella donna dell’Apocalisse che vince il drago. Maria ci appare come una ragazza senza orgoglio, senza ambizione, e anche senza paura, tutta aperta alla volontà di Dio: “che sia fatto di me secondo la tua parola”. Ci appare anche tutta preoccupata di quanto sta vivendo sua cugina. E quando questa la proclama beata, canta lei stessa le lodi del Signore e di ciò che Egli ha fatto per lei, e che vuole fare per il suo Popolo.

            In questo bel canto – il Magnificat – che Luca mette in bocca a Maria, vi sono anche espressioni che assomigliano a un canto guerriero. Ma ciò che lei canta è prima di tutto l’amore di Dio. “Il suo amore si estende di generazione in generazione”. E poiché Dio è Amore, è anche Giustizia. E poiché è Giustizia, è difensore degli umili, degli affamati, dei deboli. Ed è con questo esercizio di amore che Egli distrugge la violenza dei violenti e l’orgoglio degli orgogliosi.

            È perché Maria non aveva nel suo cuore alcun egoismo, alcun orgoglio e alcuna paura, che si è trovata totalmente aperta a Dio. Dio ha abitato totalmente in lei ed è divenuto suo figlio. È nato da lei.  È questa totale assenza di resistenza all’amore, questa totale assenza di orgoglio e, di conseguenza, di violenza, che la Chiesa ha voluto affermare nel dogma dell’Immacolata Concezione. La conseguenza di questa totale apertura a Dio, non solo alla sua nascita,ma anche durante tutta la sua vita, doveva avere come conseguenza che al momento della sua morte non vi era più alcuna distanza tra lei e suo Figlio. Essa è stata dunque “assunta” (assumpta) tutta intera nella vita trinitaria. E quello che la Chiesa ha voluto affermare con il dogma dell’Assunzione, che celebriamo quest’oggi.

            Le tre letture della messa ci mostrano dunque che Maria, come suo Figlio,si trova al centro della lotta escatologica tra Dio che è amore, e le forze del male che sono “violenza”.

            Anche noi siamo nel cuore di questa lotta.  Non c’è bisogno di leggere molto i giornali per vedere la somma enorme di violenza esercitata nel nostro  mondo – non soltanto la violenza della guerra, ma la violenza esercitata nei confronti di miliardi di esseri umani da sistemi politici ed economici che generano povertà, emigrazione, rifiuto degli emigrati, ecc. Ma Maria ci ricorda con il suo Magnificat che la violenza non può essere vinta con la violenza. Essa deve essere affrontata, come lei stessa la affronta e come l’affronta Cristo. Ma per tutti noi, che non siamo esenti dal peccato, come lo è stata lei,   la prima tappa – qualunque siano  il nostro stato di vita e la nostra vocazione – è di vincere la violenza dentro i nostri cuori. E’ la necessità del ritorno all’umiltà. “Egli ha guardato l'umiltà della sua serva”.

Armand VEILLEUX

 

Omelie per la stessa solennità negli anni passati

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