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15 agosto 2007 -- Solennità dell'Assunzione di Maria Omelia Questo vangelo è di una tale freschezza, che ci procura
una sorta di sollevo, dopo la lettura dell’Apocalisse, che ci parlava
della lotta tra il drago e la donna, che col
suo tallone gli schiaccerebbe la testa, e di suo figlio, che
andava a pascolare le nazioni con uno scettro di ferro. Stessa cosa
nella seconda lettura, dove San Paolo parlava di Cristo, come primogenito
tra i morti, che distrugge tutte le potenze del male
calpestando tutti i suoi nemici. Quale violenza! E poi, ad un tratto, all’inizio del suo vangelo, Luca ci
mostra una ragazzina di Israele, da poco incinta, correre per i monti
della Giudea per venire a salutare la sua anziana cugina, anche lei
incinta nella sua età avanzata. Ma non lasciamoci incantare troppo facilmente
da questa freschezza e torniamo alla nostra prima lettura, anzi, andiamo
oltre. Perché in tutte queste letture, come del resto nel tema stesso
della solennità di oggi, si tratta della vittoria – non della violenza
– ma sulla violenza. Dietro la descrizione dell’Apocalisse che riguarda la lotta
tra la donna e il drago, vi è, in filigrana, il racconto simbolico della
Genesi. In un mondo di totale armonia tra tutti
gli esseri creati e Dio, è stato seminato un seme di violenza. Questo
seme è l’orgoglio, che ricerca l’importanza personale. “Voi sarete come
dei”, dice il serpente alla donna. “Avrete la conoscenza del bene e
del male, che vi darà una superiorità”. Allora ha fatto il suo ingresso
nella storia umana la violenza, che
si manifesta subito con l’assassinio di Abele per mano
di suo fratello Caino. Da allora, tutta la storia umana è la storia
della violenza degli uomini gli uni contro gli altri,
ma anche la storia di uomini e donne che, sotto l’ispirazione
dello Spirito, imparano a gestire
la violenza nel loro proprio cuore, e concorrono a rendere più vicino
il giorno in cui l’umanità ne sarà liberata – il giorno che il libro
dell’Apocalisse descrive come la venuta della Gerusalemme celeste, e
che i Vangeli descrivono come il ritorno del Figlio dell’Uomo. Non possono fronteggiare in modo positivo la violenza umana se
non coloro che l’hanno già vissuta nel loro proprio cuore, come per
esempio, nella nostra epoca, Gandhi e Martin
Luther King, o come Gesù e Maria, nel cuore dei quali la violenza
non ha mai regnato. Sappiamo come la maggior parte delle lotte contro la violenza
generano ancora più violenza, perché la maggior parte di coloro che
le fanno portano anche molta violenza nei loro cuori. Gesù può esprimere
giudizi severi contro i Farisei e può anche a volte usare violenza fisica,
come quando scaccia i venditori dal Tempio, perché non ha alcun odio
nel suo cuore, perché è pieno d’amore e perché egli stesso è l’incarnazione
dell’amore di Dio per tutti gli esseri umani. Ma torniamo, dopo questa lunga digressione, al nostro Vangelo.
Vi ritroviamo Maria, che tutta la tradizione cristiana ha visto prefigurata
nella donna della Genesi che dovrà schiacciare un giorno la testa del
serpente, e anche nella donna dell’Apocalisse che vince il drago. Maria
ci appare come una ragazza senza orgoglio, senza ambizione, e anche
senza paura, tutta aperta alla volontà di Dio: “che
sia fatto di me secondo la tua parola”. Ci appare anche tutta preoccupata
di quanto sta vivendo sua cugina. E quando questa la
proclama beata, canta lei stessa le lodi del Signore e di ciò
che Egli ha fatto per lei, e che vuole fare per il suo Popolo. In questo bel canto – il Magnificat – che Luca mette in
bocca a Maria, vi sono anche espressioni che assomigliano a un canto
guerriero. Ma ciò che lei canta è prima di tutto l’amore di Dio. “Il
suo amore si estende di generazione in generazione”. E poiché Dio è
Amore, è anche Giustizia. E poiché è Giustizia, è difensore degli umili,
degli affamati, dei deboli. Ed è con questo esercizio di amore che Egli
distrugge la violenza dei violenti e l’orgoglio degli orgogliosi. È perché Maria non aveva nel suo cuore alcun egoismo, alcun
orgoglio e alcuna paura, che si è trovata totalmente aperta a Dio. Dio
ha abitato totalmente in lei ed è divenuto suo figlio. È nato da lei. È questa totale assenza di resistenza all’amore,
questa totale assenza di orgoglio e, di conseguenza, di violenza, che
la Chiesa ha voluto affermare nel dogma dell’Immacolata Concezione.
La conseguenza di questa totale apertura a Dio, non solo alla sua nascita,ma anche durante tutta la sua vita, doveva avere come conseguenza
che al momento della sua morte non vi era più alcuna distanza tra lei
e suo Figlio. Essa è stata dunque “assunta” (assumpta) tutta intera nella vita
trinitaria. E quello che la Chiesa ha voluto affermare con il dogma
dell’Assunzione, che celebriamo quest’oggi. Le tre letture della messa ci mostrano dunque che Maria,
come suo Figlio,si trova al centro della lotta
escatologica tra Dio che è amore, e le forze del male che sono “violenza”. Anche noi siamo nel cuore di questa lotta. Non c’è bisogno di leggere molto i giornali
per vedere la somma enorme di violenza esercitata nel nostro mondo – non soltanto la violenza della
guerra, ma la violenza esercitata nei confronti di miliardi di esseri
umani da sistemi politici ed economici che generano povertà, emigrazione,
rifiuto degli emigrati, ecc. Ma Maria ci ricorda con il suo Magnificat
che la violenza non può essere vinta con la violenza. Essa deve essere
affrontata, come lei stessa la affronta e come l’affronta Cristo. Ma
per tutti noi, che non siamo esenti dal peccato, come lo è stata lei,
la prima tappa
– qualunque siano il nostro stato
di vita e la nostra vocazione – è di vincere la violenza dentro i nostri
cuori. E’ la necessità del ritorno all’umiltà. “Egli
ha guardato l'umiltà della sua serva”. Armand
VEILLEUX
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