5 ottobre 2008 – XXVII domenica del Tempo Ordinario « A »

Is 5,1-7 ; Ph 4,6-9 ; Mt 21,33-43

 

 

O M E L I A

 

 

            Questo racconto del Padrone della vigna e dei vignaioli in rivolta pronti ad uccidere si ritrova nei tre Vangeli sinottici. Come è spesso il caso, in ciascuno degli Evangelisti si trovano delle varianti che ci indicano come le parabole pronunciate da Gesù venivano applicate alla situazione particolare di ciascuna Chiesa locale. Si può pensare, per esempio,  che l’ultima parte del racconto  di Matteo sia servita ai primi cristiani per interpretare la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70.  Anche noi, quando leggiamo un testo come questo, dobbiamo domandarci quale luce può portare sulla situazione che stiamo vivendo oggi.

 

            Del resto, è quello che Gesù stesso fa, interpretando ciò che egli vive – cioè la tensione crescente tra lui e I Gran Sacerdoti e i Farisei – alla luce del bel testo di Isaia sulla vigna, che avevamo come prima lettura, e di una citazione testuale del salmo 118.

 

            Potremmo certamente vedere una relazione tra questo Vangelo e il rifiuto che la società contemporanea, particolarmente in Europa, oppone a Cristo, come fa il Padre Cantalamessa, il predicatore della Casa pontificia, in Vaticano (nel testo che ci riporta l’agenzia Zenith). Ma preferisco fermarmi a un elemento comune al testo di Isaia e alla parabola di Gesù. Questo elemento comune sono i frutti che il Padrone della vigna attendeva dalla sua vigna e non ha ricevuto.

 

            Cosa rimprovera il profeta Isaia al popolo d’Israele ? Gli rimprovera di mancare di giustizia e di opprimere i piccoli e i deboli. “Egli si aspettava la rettitudine ed ecco l’iniquità, attendeva la giustizia ed ecco grida di angoscia e disperazione” – le grida di angoscia degli oppressi. E Dio ascolta queste grida degli oppressi. A causa di ciò, il popolo sarà severamente punito e dovrà sopportare molti mali. Ma qui  siamo ancora nella mentalità dell’Antico Testamento. Isaia non conosce ancora  Dio Padre rivelato da Gesù.

 

            Nella parabola di Gesù i vignaioli sono di una insolenza inaudita e di una crudeltà criminale. Uccidono tutti coloro che sono inviati dal padrone della vigna, ivi compreso, alla fine, il figlio di quest’ultimo. E tuttavia, la punizione di quei miserabili non è il centro del racconto. Si, la vigna sarà loro tolta, ma non a titolo di punizione, bensì per consegnarla a “un popolo che gli farà produrre il suo frutto”. Ciò che il Cristo attende dal suo Popolo, dalla sua Chiesa, e dunque da ciascuno di noi, è che portiamo frutti. E i primi frutti che attende da noi sono frutti di giustizia e di bontà, in particolare nei confronti dei più piccoli. La Chiesa non esiste per se stessa, ma per servire l’umanità, tutta intera oggetto dell’amore di Dio. Noi non siamo stati chiamati a essere Chiesa semplicemente per ottenere la nostra salvezza personale, ma  per portare frutti, e prima di tutto frutti di giustizia.

 

            Possiamo noi rileggere la nostra situazione collettiva attuale alla luce di questo testo, come hanno fatto i primi Cristiani ? Certo che lo possiamo. E anzi, dobbiamo farlo. Evidentemente possiamo farlo in mille modi, a seconda delle persone e delle circostanze. Segnalerò solo un esempio.

 

            Da ben oltre un secolo si è imposto in Occidente un sistema economico, di cui, a diversi livelli, abbiamo tutti approfittato e sul quale riposa tutto il benessere di cui gode la maggior parte di noi. Questo sistema ha avuto il suo prezzo. Il benessere che ha generato è stato spesso – se non sempre – a prezzo dell’oppressione di altri settori dell’umanità, in ogni caso a prezzo della creazione di classi crescenti di esclusi. Dio attendeva la giustizia, come diceva Isaia, ed ecco le grida di disperazione - grida di disperazione di interi pezzi di umanità, vittime del sottosviluppo e della fame, e anche grida di disperazione di numerosi emarginati delle nostre società opulente.

 

            Nel corso degli ultimi mesi, e soprattutto delle ultime settimane, questo sistema è stato scosso nelle sue fondamenta e ne uscirà molto indebolito, anche se non crollerà totalmente.  Non cerchiamo di vedere in questo una « punizione divina » - sarebbe un modo di reagire con una mentalità da Antico Testamento . Vediamoci piuttosto un richiamo ad un più esteso esercizio della giustizia e del diritto, sia a livello della società e della Chiesa in generale, che al livello personale di ciascuno di noi, della nostra vita quotidiana.

 

            E viviamo in modo tale che un nuovo Isaia possa nuovamente scrivere: «Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna ».

 

Armand Veilleux

 


 

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