3 ottobre 1999 – XXVII  domenica del Tempo Ordinario  « A »

 

 

O M E L I A

 

            Negli Archivi Nazionali statunitensi, a Washington,  si può leggere la trascrizione di una conversazione che ebbe luogo, circa un secolo e mezzo fa, tra un ufficiale del governo americano e Joseph, il capo di una potente tribù amerindiana della Costa Occidentale del Paese, i « Nasi Bucati ».

 

            Il Commissario fece menzione al Capo Joseph del vantaggio di avere delle scuole per il suo popolo (nella riserva in cui erano stati confinati…). Joseph rispose che il suo popolo non voleva scuole.

 

            « Perché non volete scuole? » domandò il Commissario.

            « Perché in esse ci verrà insegnato che dobbiamo avere delle chiese » rispose Joseph.

            « Non volete avere chiese? »

            « No, non vogliamo chiese. »

            « Perché non volete chiese? »

            « Perché ci insegneranno a litigare a proposito di Dio », rispose Joseph, e aggiunse : « Non vogliamo imparare questo. Possiamo pure a volte litigare con gli uomini su realtà terrene, ma non litigheremo mai  a proposito di Dio; e non vogliamo imparare questo. »

            (Tratto da : Dee Brown's "Bury my Heart at Wounded Knee", pp. 300‑302).

 

            Non abbiamo noi forse trasformato spesso la nostra religione (le nostre religioni) in scuola (-e) dove si impara a litigare su Dio o sul modo di servirlo?

 

            Era precisamente la situazione prevalente in Israele al tempo di Gesù. I Farisei, i Sadducei, i Dottori della Legge, i monaci esseni di Qumrân – i  membri di ciascuno di questi gruppi erano convinti di sapere – loro soli – tutto a proposito di Dio, dei piani di Dio, della Sua Legge, dei Suoi desideri. Pretendevano di possedere la verità, e pensavano dunque di possedere Dio. Ignoravano ciò che per Dio era più prezioso di tutto: il suo popolo, e del popolo ogni persona.

 

            Nella prima lettura, Isaia, in termini molto teneri, paragona il popolo ad una vigna che il Signore ha piantato e di cui si prende cura con molto amore.  Nel Vangelo Gesù, ispirandosi in modo evidente da questo testo di Isaia, costruisce una parabola nella quale Dio Padre affida la Sua vigna prediletta a degli amministratori. Ma questi dimenticarono ben presto che erano soltanto degli amministratori, e cominciarono a comportarsi come dei  proprietari.

 

            Tutti i conflitti tra esseri umani, che  si tratti di individui o di nazioni, prendono origine dal fatto che le persone pretendono di possedere la verità. E poiché Dio è la Verità, ogni conflitto è in realtà a proposito dell’Assoluto.  E dunque, l’unica via verso la pace consiste nel riconoscere che Dio è nostro Padre e Signore comune; che ha lo stesso amore per tutti noi, sia che siamo Musulmani, Indù o Cristiani, Cattolici o Protestanti, e perfino santi o peccatori…perché il Suo amore non dipende dal nostro comportamento personale. Al contrario, il Suo amore incondizionato ci è sempre offerto come un cammino di conversione. Qualunque sia la fedeltà della nostra risposta al suo amore, noi siamo importanti ai suoi occhi, ed è questa l’unica fonte del nostro valore personale, di cui, evidentemente, non dobbiamo mai dubitare.

 

            Nel Vangelo di oggi, Gesù ci ricorda che la vigna preziosa di Suo Padre è il mondo intero, e che ciascuno di noi a modo suo è uno dei Suoi amministratori.  Chiunque viene a noi per domandarci una parte dei frutti della vigna è un servitore del Padre ed è anche, in definitiva, il suo Figlio molto Amato, che viene a noi in ciascuno di loro.  Possiamo noi riceverlo come il Principe della Pace.

 

Armand Veilleux

 

traduzione di Anna Bozzo