IL RUOLO DELLA DONNA NELLA FAMIGLIA CISTERCENSE

Questo contributo, molto modesto, si articolerà in tre punti: uno sguardo sulla storia della presenza femminile nella famiglia cistercense, un tentativo di riflessione e infine qualche prospettiva per il futuro.

UNO SGUARDO STORICO

Nella lettera indirizzata alla Famiglia cistercense in occasione del IX centenario della fondazione di Citeaux, Giovanni Paolo II afferma che:

il carisma di Cîteaux, che conosce una rapida espansione, reca un contributo molto importante alla storia della spiritualità e della cultura in Occidente. Fin dal XII secolo i 400 monasteri esistenti sono dei centri di vita spirituale in tutta l'Europa.

Credo di poter aggiungere, senza compromettere il senso di questa affermazione, che accanto a questi 400 monasteri solo maschili, crebbe in forma ufficiosa anche la vita cistercense femminile, così, verso il 1300 le comunità femminili sono circa 800, più numerose di quelle dei monaci e sono disseminate dalla Svezia a Cipro, dalla Spagna alla Siria. La fioritura è tale che nel 1251, quando ormai molte monache erano state ufficialmente affiliate, il Capitolo Generale chiede al Papa Innocenzo IV di non costringere più i cistercensi ad incorporare monasteri femminili: il che fu concesso con la Bolla Paci et tranquillitati vestrae (7 maggio 1251).

L'intensa vita spirituale dei monasteri femminili è testimoniata da figure di primo piano nella storia dell'agiografia e della mistica: S. Lutgarda, S. Aleide, Beatrice di Nazareth, le tre Ide - di Lovanio, di Nivelles e di Léau - e le sante di Helfta, Matilde di Magdeburgo, Matilde di Hackeborn, sua sorella Gertrude, e soprattutto Gertrude la Grande ( queste ultime tre erano cistercensi per lo spirito e le osservanze, ma non appartenevano ufficialmente all'Ordine).

Accanto ai grandi centri spirituali maschili di Clairvaux, Villers, Himmerod, Heisterbach, nel XIII secolo si sviluppano quelli femminili di Parc-aux-Dames, La Ramée, Florival, Aywières, Nazareth, La Cambre, Val-des-Roses, ecc.

Se si eccettuano le grandi abbazie reali come Las Huelgas, Maubuisson e altre, le dimore delle monache erano in genere più piccole e più povere rispetto a quelle maschili e le loro proprietà di dimensioni più ridotte. Le esigenze più severe della clausura femminile, l'adattamento di edifici preesistenti onde evitare grosse spese e le influenze regionali sono più marcate nell'architettura dei monasteri di monache, che tuttavia offrono esempi notevoli, come Bouchet, Bonlieu, La Maigrauge, ecc.

Alla fioritura del XIII secolo seguirono tempi calamitosi, in cui la decadenza fu in parte provocata da guerre, epidemie e scismi.

Nel secolo XV si diffuse nell'attuale Belgio un movimento di riforma di cui l'abbazia di Soleilmont assunse il ruolo di guida; in Spagna, nei secoli XV e XVI molte mistiche cistercensi, ancora poco studiate, rivissero le esperienze del Cantico dei Cantici e le descrissero nelle loro "Autobiografie".

All'epoca delle guerre di religione furono i monasteri femminili ad essere i più colpiti e moltissime comunità, il cui monastero era stato saccheggiato o incendiato, dovettero rifugiarsi nelle città. Ci furono certamente accettazioni passive della secolarizzazione che veniva imposta, apostasie e defezioni (Caterina Bora, moglie di Lutero, era cistercense), ma altre monache pagarono la loro fedeltà col martirio (quelle di Valsauve e di Laval-Bénite, per esempio) o confessarono con fermezza la loro fede, lasciandoci bellissime testimonianze della loro resistenza, come il resoconto della visita dei ministri Luterani alle monache di S. Burkhard(1), che costituisce una pagina molto bella della storia dell'Ordine.

Nella rinascita materiale e spirituale che seguì il Concilio di Trento, ogni riforma maschile fu preceduta, affiancata o seguita da una femminile e le badesse fondatrici o riformatrici(2) meriterebbero di essere conosciute come si conoscono Denis Largentier o l'abate de Rancé. Un po' ovunque vi fu una rifioritura di santità e di misticismo: Parc-aux-Dames, La Maigrauge, S. Anna di Avila furono vivai di monache sante. Gli scandali e gli abusi di Maubuisson sotto la mondana badessa Angelica d'Estrées e la triste distruzione di Port Royal, divenuto giansenista, non devono far dimenticare il fervore delle altre comunità. Questa fedeltà si manifestò chiaramente durante la rivoluzione francese e l'era napoleonica, in cui le monache scrissero pagine gloriose di attaccamento eroico ai loro voti: non ci furono quasi defezioni e, in alcuni casi, la prigione e la ghigliottina furono il prezzo pagato dal loro amore fedele. Fra le martiri di Orange, beatificate nel 1925, ci sono due monache cistercensi.

Dopo la dispersione del secolo precedente, i monasteri di monache rinacquero più vivi e i secoli XIX e XX hanno visto una diffusione su scala mondiale del monachesimo cistercense sia maschile che femminile. Uno dei fattori decisivi di questa rinascita mi sembra che si situi nelle recettività che molti monasteri vissero nei confronti delle istanze più profonde della Chiesa del loro tempo. Una giovane monaca, Sr Maria Gabriella, del monastero di Grottaferrata, in Italia, offrì la sua vita per la causa dell'unità dei cristiani: verrà beatificata nel 1983. Tale offerta maturò all'interno dell'intuizione profetica che la sua Badessa, Madre Pia Gullini, ebbe nei confronti del nascente movimento ecumenico.

Vorrei ora fermarmi sul passato più recente, quello post-conciliare e mettere in luce il processo graduale di partecipazione delle monache alle strutture dell'Ordine ed anche il loro apporto specifico. Per questa parte mi riferirò all'Ordine OCSO, quello a cui appartengo e che conosco.

Dal punto di vista giuridico il Ramo Femminile ha iniziato a configurarsi in modo più definito dapprima con le Riunioni delle Badesse a Citeaux (a partire dal 1959) e poi, dal 1971, con i Capitoli Generali, dietro precisa obbedienza alle sollecitazioni della Chiesa e dell'Ordine, ma anche beneficiando dei carismi delle grandi badesse del momento.

Quando la Santa Sede diede il permesso per queste riunioni e suggerì che pur lasciando intatti i rapporti giuridici con il ramo maschile, le case di monache fossero riunite in eventuali Federazioni, per collaborare fra loro e sbrigarsela da sole per le faccende che le riguardavano, l'allora Abate Generale dell'Ordine, Dom Gabriele Sortais, con uno spirito davvero profetico, non prese nemmeno in esame questa possibilità: l'Ordine era uno e tale doveva rimanere(3).

Da allora è iniziato un lento, paziente, imprevedibile processo di partecipazione, totalmente nuovo nella storia dell'Ordine. Infatti, fino ad allora, le monache non avevano mai partecipato direttamente al governo, erano gli abati che legiferavano per loro. Dapprima si è andato avanti un po' a tentoni, facendo, disfacendo, correggendo; si è cominciato a favorire tutti gli incontri informali che non richiedevano approvazioni giuridiche. Sull'esempio del ramo maschile anche le monache si riunirono in Conferenze Regionali, poi mandarono osservatrici a quelle dei monaci, per poi dare origine insieme alle attuali conferenze miste, o che in ogni caso si riuniscono congiuntamente ( non tutte le conferenze regionali sono miste).

Per noi un aspetto importante del post-concilio è stato l'elaborazione delle Costituzioni, un processo che è durato 20 anni e che ha visto le monache implicate fin dall'inizio.

La preparazione, affidata in un primo tempo alla Commissione di Diritto dell'Ordine, si è servita dell'apporto di monache corrispondenti. Poi, dopo questa prima fase iniziale, le monache sono entrate di diritto nelle varie commissioni di preparazione. I diversi progetti furono esaminati da tutti i monaci e monache delle varie comunità, furono scartati, rifatti, corretti. E' stata una consultazione vastissima, portata avanti con pazienza ed ostinazione. Alla fine tutto l'elaborato è stato steso in uno stile unitario che è stato poi di nuovo corretto e approvato dai Capitoli degli abati e delle badesse. Questo per dire che le Costituzioni sono state costruite insieme dai due rami dell'Ordine attraverso un lavoro ventennale, in cui lo Spirito Santo ha soffiato e della gente ha realmente creduto in quello che stava facendo.

Il pregio di questo lavoro paziente è stato quello di creare una mentalità, anzitutto una unità di visione dell'ideale cistercense condiviso da tutti, e, nello stesso tempo, di aprirci ad una modalità di lavoro insieme, alla complementarietà tra ramo maschile e ramo femminile dell'Ordine.

Attualmente monaci e monache lavoriamo normalmente insieme nelle varie commissioni, nelle Conferenze Regionali, nella riunione delle Commissioni Centrali per preparare insieme i Capitoli Generali, nella RGM (Riunione Generale Mista) che vede riuniti insieme gli abati e le badesse dell'intero Ordine. In questi ultimi anni con una certa frequenza delle badesse hanno accompagnato gli abati nelle Visite Regolari, o visitano direttamente i monasteri femminili ecc.

Questo stato di cose e la loro eventuale evoluzione oggi non crea più problemi, è condiviso ed accettato da quasi tutti i membri dell'Ordine, il che è indicativo del grande cammino compiuto insieme.

Certamente l'apporto femminile alle Conferenze Regionali, ai Capitoli Generali e alle varie commissioni è stato diverso, secondo le possibilità di integrazione e di interdipendenza delle varie culture e le personalità delle varie badesse o delle monache che vi hanno partecipato. Ma si può dire che l'attenzione alle persone e alle realtà concrete, la ricchezza di umanità, le dimensioni di profondità interiore insieme ad un umile e sano realismo hanno spesso felicemente completato l'apporto degli abati e dei monaci.

Questo processo di partecipazione del Ramo femminile alle strutture dell'Ordine è certamente importante, ma non deve farci dimenticare che il tempo post-conciliare è stato soprattutto segnato dal rinnovamento all'interno delle comunità.

I grandi Capitoli Generali del ramo maschile (1969-1971-1974) hanno dato le linee fondamentali del rinnovamento del post-Concilio.

A livello concreto le badesse hanno avvertito le esigenze di un vero rinnovamento spirituale al di là dell'adattamento delle forme; questa è stata l'esperienza che ho visto in atto nella mia comunità. La preoccupazione si focalizzava prevalentemente sulle dimensioni più profonde. Ad es., l'accoglienza effettiva delle nuove generazioni con le domande e sfide di cui erano portatrici; una nuova riscoperta dell'importanza dell'ascolto delle persone, dell'interiorizzazione vissuta, ma anche delle dimensioni cenobitiche dell'ascesi dell'amicizia, della collaborazione, del dialogo; una diversa e nuova valorizzazione della Tradizione e della dimensione ecclesiale della vita monastica. L'accento si poneva più sulla qualità effettiva della vita comunitaria che sull'adattamento delle forme concrete, che tuttavia non mancò: si pensi alle trasformazioni di mentalità comportate da un riequilibrio del lavoro comunitario, alle trasformazioni dei parlatori, alle uscite per esigenze di lavoro o di salute o per studio.

Notevole è stato lo sforzo delle comunità femminili per migliorare la qualità della formazione favorendo in tale campo determinate specializzazioni, organizzando sessioni di studio per formatrici ecc.; il campo della riforma liturgica, poi, ha visto tutti i monasteri femminili impegnati con passione e creatività nel rinnovamento della liturgia in un lavoro di collaborazione con le comunità maschili. Non va dimenticato, poi, lo sforzo fatto dalle monache per raggiungere un'autonomia economica mediante un lavoro impegnato, fatto con senso di responsabilità, collaborazione, specializzazione.

Un altro dato di rilievo, segno di fecondità delle comunità femminili OCSO, è il numero di fondazioni in questi ultimi 30 anni. Dal 1970 si contano 21 fondazioni e una incorporazione.

Mi sembra che noi monache nella maniera di fondare abbiamo proceduto in maniera concreta e comunitaria. Le fondazioni sperimentali o che si allontanano dallo Statuto delle fondazioni sono state rare, ci si è preoccupate di più della formazione del gruppo prima della partenza, dell'esistenza di un certo quadro monastico effettivo prima degli inizi, della autenticità della vita monastica integralmente vissuta (soprattutto a livello di liturgia e vita comunitaria). Senza scendere troppo in dettaglio, la presenza delle fondazioni di monache non di rado ha illuminato e completato le fondazioni di monaci già esistenti, quando le scelte che man mano venivano operate non erano dipendenti da quelle operate dal monastero maschile corrispondente, ma frutto della diversa sensibilità ed esigenza delle comunità nascenti. Ciò è avvenuto ad esempio a livello della relazione con la casa madre, dell'integrazione di vocazioni locali, dello stile di vita.

2. TENTATIVO DI RIFLESSIONE

La complementarietà vissuta in questi ultimi 30 anni e testimoniata dalle nostre Costituzioni, è un dono dello Spirito già presente nel carisma e nell'identità cistercense che è particolarmente favorevole al modo proprio della donna di accostare il mistero cristiano e la vocazione monastica.

Etienne Gilson parlava dell'esperienza cistercense in termini di teologia monastica. Se la teologia è l'accesso e la rappresentazione del mistero cristiano, parlare di 'esperienza' non significa soggettivizzazione del mistero, ma un modo particolare di accostarlo, contemplarlo, gustarlo, assimilarlo e interiorizzarlo nell'amore e di comunicarlo attraverso l'amore. E' in questo senso che l'esperienza di Dio dei chiostri cistercensi è una vera teologia e non solo una spiritualità.

La straordinaria vitalità dell'albero cistercense probabilmente deve molto al "genio femminile", che io intravedo nella capacità innata della donna di "intuire" la vita nella sua verità, e pertanto di vivere una unità tra dottrina e vita.

L'intuito della vita è iscritto nel suo cuore e nel suo corpo, ne plasma l'intelligenza, l'amore e la volontà, la rende capace di accoglierla e trasmetterla facendosene responsabile.

Le monache cistercensi sono forse quelle che più profondamente hanno colto la visione autenticamente cristiana e umana insita nella dottrina dei nostri primi padri, particolarmente sviluppata e ordinata da San Bernardo.

Basti solo pensare alla dottrina della nuzialità (l'anima sposa del Verbo); o del mistero di Maria come tipo e modello della Chiesa e di ogni singola anima che come Maria è chiamata ad essere pura accoglienza di Cristo, fino ad essere a Lui conformata.

J. Leclercq nel suo libro: "La donna e le donne in San Bernardo"(4) mostra come Bernardo, seguendo la tradizione patristica e medievale, non solo mette in risalto l'importanza di alcune figure femminili, ma ci parla di Dio stesso al femminile.

Bernardo si ispira profondamente al linguaggio biblico: nella Sacra Scrittura un' immagine frequente è quella del ventre materno, simbolo della compassione divina, della bontà gratuita che crea, gratifica e perdona. L'amore di Dio infatti, come quello di una madre, comunica la vita, la sostiene e la nutre e quando è necessario la rinnova, la rende feconda, la consola e la conforta.

Nella linea di questa grande tradizione Giovanni Paolo II sviluppa oggi un'antropologia teologica fondata sulla complementarietà dell'uomo e della donna, creati ambedue ad immagine e somiglianza del Dio personale.(5)

Identici nella loro dignità di persone sono diversi non solo per il compito loro affidato: la differenza uomo-donna tocca la struttura ontologica della persona. Perciò esiste una reale complementarietà, cioè un reale, ontologico, bisogno dell'altro per autocomprendersi, definirsi, intuire il proprio destino e il proprio rapporto con la realtà. Questa polarità dell'essere umano, paradigmatica nel rapporto uomo-donna, investe tutti i rapporti umani. Il modo proprio della donna di vivere questa tensione è così definita da Giovanni Paolo II : la donna è indispensabile contributo all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del mistero(6). Questa definizione mi sembra molto vicina a quello che intendo per esperienza come teologia, e cioè una intelligenza e un cuore totalmente disponibile a Dio nella ricettività della contemplazione.

Nella riflessione di Giovanni Paolo II anche l'apporto specificamente femminile deriva dalla sapienza insita nel progetto di Dio nel creare la persona umana, maschio e femmina, una nella sua dualità. Tale unità ha il suo archetipo nelle nozze tra il Signore Risorto e il Suo Corpo che è la Chiesa. Solo in questa luce possiamo cogliere la profondità della dignità e della vocazione della donna, che è sponsale e materna, ed è possibile parlare della sua presenza attiva nella Chiesa e nella società.

Questa è la risposta più convincente ad un certo femminismo presente nella nostra società tecnologica occidentale, che riconduce la differenza e complementarietà fra uomo e donna ad un semplice problema di emancipazione o di intercambiabilità di ruoli, distruggendo quello che è il genio femminile perché riduce la persona al suo fare, alle funzioni, ai ruoli che può assumere.

La fioritura di vita che si è avuta nel XIII secolo e lo spazio che in esso hanno avuto le sante e le mistiche cistercensi è il frutto di una corretta posizione della creatura davanti a Dio, a se stessa, alla realtà, agli altri, dalla quale scaturisce una potenza di libertà e di costruttività impressionante.

Le caratteristiche più vere dell'uomo e della donna, quelle cioè di essere creature responsabili e libere, chiamate alla verità nell'umiltà dell'obbedienza e dell'amore, hanno espresso uno degli esempi più belli di cosa significhi una teologia monastica e una vita spirituale autentica.

3. UNO SGUARDO SUL FUTURO

A questo punto mi sembra importante chiederci come noi, monache cistercensi, testimoniamo la vitalità profetica del nostro carisma nel mondo d'oggi.

La purezza ed originalità del nostro apporto ha le proprie radici nella fedeltà al carisma vissuto nell'oggi senza la paura di accettarne le sfide, con semplice abbandono alla Provvidenza che ci ha chiamate ad essere monache cistercensi in questo momento storico e non in un altro.

Nikolaus Lobkowicz(7), in una conferenza tenuta all'Università Cattolica di Milano, afferma: "l'annuncio cristiano può trovare un'eco positiva solo se non ci si mette in guardia dal mondo, anche da quello attuale, ma se ci si appropria di tutto ciò che in esso indica il futuro e lo si riconduce al fatto cristiano..." e si domanda: "questa apertura al mondo come evita di cedere alla fine ancora "al mondo"? ... l'àncora può essere solo Cristo e la nostra fedeltà a lui". Trovo queste parole profondamente vere anche per un atteggiamento corretto davanti al carisma che ci è stato donato, tanto più che lo stesso autore dice: "anche il migliore degli inizi può essere fuorviante se non corrisponde più "ai segni dei tempi".

Non intendo certo aprire qui una parentesi sugli attuali "segni dei tempi" che ci porterebbe molto lontano. Mi limito a una realtà evidente per tutti: il nostro tempo sta smarrendo il senso della vita e del valore della persona.

I giovani che arrivano alle nostre comunità portano l'esperienza di un doloroso smarrimento, mentre alcune comunità d'Europa devono affrontare l'invecchiamento dei loro membri.

Guardare con realismo a questa situazione significa aprirsi al senso della vita nella sua profondità eucaristica e pasquale.

Il luogo in cui questo senso pieno si rivela e si offre, il luogo in cui la nostra umanità viene educata, sanata e rigenerata è la comunità. E' qui che un' umanità nuova sgorga dalla sequela semplice della Regola di San Benedetto, che oggi, come più di un millennio fa, è la nostra via concreta per accogliere la buona novella della Salvezza.

Così il monastero può essere veramente "la Casa" nella quale i giovani e le giovani dei nostri noviziati, che provengono prevalentemente da situazioni di divisione e insicurezza affettiva familiare e sociale, possono nella fede aprirsi all'esperienza della figliolanza, ed essere lentamente rieducati ad un'appartenenza umana e ecclesiale.

Il metodo dell'educazione benedettina rimane l'obbedienza. Un'obbedienza quotidianamente vissuta nei confronti dei superiori e delle sorelle, l'ascolto e la sequela che liberano il cuore da tutto ciò che ostacola l'adempimento del compito e del destino donatoci con la vocazione cistercense, lo spogliamento dalla volontà propria per aderire alla volontà comune, tutto questo è obbedienza, ovvero la nostra via concreta di liberazione e ricupero di identità nella figliolanza, mentre l'amore per la propria comunità, icona della Chiesa e dell'umanità, evita il rischio dell'evasione e dell'idealizzazione o sublimazione. In questa visione gli anziani sono elemento insostituibile di trasmissione di vita e cultura , oltre che di amore e santità.

La comunità è perciò il luogo in cui Cristo ci chiama, ci educa, si comunica a noi ed è il luogo della realizzazione della nostra vocazione sponsale e materna. Ci uniamo a Cristo unendoci alla comunità in unità di visione, d'intenti, di volontà, di dono totale di sé nel servizio concreto.

E poiché il senso della vita tipico della donna è essenzialmente apertura al mistero come realtà non da possedere, ma da servire ed amare nella concretezza dell'esperienza, è proprio nella comunità che tutta la nostra genialità femminile deve trovare impegno ed espressione.

Vorrei ora sottolineare alcuni aspetti di quell'apertura al mistero, tipicamente femminile, e dell'esperienza concreta che ne sgorga. Tali aspetti non sono altro che gli elementi caratteristici della vita benedettino- cistercense, le diverse forme della reciproca trasmissione di vita che avviene tra i membri di una stessa comunità. Infatti è solo generandoci a vicenda, è solo ricevendo noi stessi dalla comunità che diveniamo madri, capaci di accogliere e trasmettere a nostra volta la vita.

Ecco alcuni di questi aspetti della reciproca testimonianza che siamo chiamate a dare:

 

CONCLUSIONE

Per concludere vorrei ricordare ancora che il Magistero della Chiesa(8) mette in relazione la forza profetica, "il messaggio di liberazione che la Chiesa ha ricevuto da Cristo", alla dedizione testimoniata in pienezza dalle donne nella vocazione verginale, sponsale e materna.

Tale dedizione trova un luogo privilegiato nei nostri monasteri cistercensi, piccole chiese dove l'umanità viene risanata e ristabilita nella sua dignità, nella piena coscienza della sua identità. Luoghi di recupero dell'umano, dove la vita e la morte ritrovano il loro senso.

E' questa la nostra risposta alla Chiesa e alla società, un segno nella nostra Europa di una vita nuova che viene da Gesù Cristo.

Anche rispetto al contributo di noi monache all'Ordine, già molto è stato fatto a livello di collaborazione, di reciprocità e di strutture e certamente la situazione evolverà ancora, ma mi sembra che il nostro apporto si situi più profondamente in questa fedeltà alla nostra identità.

E' infatti approfondendo la specificità della nostra vocazione all'interno della comunità che si realizza anche quella profonda unità tra dottrina e vita, capace di generare novità e anche una partecipazione creativa all'interno della Famiglia Cistercense.

Sr Rosaria Spreafico OCSO
Monastero di Vitorchiano

1. Commission pour l'histoire de l'Ordre de Citeaux, Les moniales cisterciennes II, pag 31 ss.

2. Ibidem, pag.100 ss.

3. Resoconto della Riunione delle Badesse a Citeaux, 5-16 giugno 1959, pag.5

4. J.Leclercq, La donna e le donne in San Bernardo , Jaca Book, pag 93

5. Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem,6

6. Giovanni Paolo II, Alle donne, 1

7. Nikolaus Lobkowicz: Direttore di Zimos (Istituto centrale di studi per l'Europa centro-orientale presso l'Università Cattolica di Eichstätt);. Conferenza tenuta nell'Aula Magna dell'Università Cattolica del Sacro Cuore Milano, 6 Maggio 1998.

8. Cfr. Vita Consecrata 57