11 luglio 1999 - Solennità di San Benedetto
Prov. 2,1-9; Col. 3-12-17; Lc 22,24-27

 

OMELIA

La scena raccontata nel breve racconto evangelico che abbiamo ora ascoltato si colloca alla fine della vita di Gesù, più precisamente durante l'ultima Cena di Gesù con i suoi discepoli. Egli ha appena annunciato loro la sua morte: e di cosa parlano tra loro questi discepoli che Gesù ha formato per tre anni con tanta cura? -Discutono per sapere chi di loro occuperà il primo posto nel Regno che Gesù stabilirà - chi sarà il primo ministro del suo governo! Non hanno capito nulla. La stessa scena, del resto, si era già prodotta precedentemente. Dopo la Trasfigurazione e dopo il secondo annuncio che Gesù aveva fatto della sua passione, i discepoli discutevano tra loro su chi fosse il più importante; e Gesù aveva offerto allora come modello la semplicità di un bambino.

Nel racconto di oggi Gesù li invita al servizio vicendevole, dando loro l'esempio. Dice: "lo sono tra voi come colui che serve".

La vita cenobitica - cioè la vita monastica vissuta in comune - e essenzialmente una vita di servizio - di servizio di Dio attraverso il sacramento del servizio reciproco.

All'inizio della sua Regola, Benedetto, quando descrive in che consiste la vita cenobitica, menziona il servizio abbaziale come uno degli elementi essenziali. L'abate ha un servizio speciale da compiere; ma tutti siamo i servitori gli uni degli altri. E San Benedetto sente il bisogno di riaffermarlo chiaramente alla fine della sua Regola, in un capitolo sulla reciproca obbedienza.

Uno dei desideri che hanno più profonde radici nel cuore umano è il desiderio di esercitare il potere Non ci riesce mai facile rinunciare al potere che spontaneamente desideriamo esercitare sulla nostra propria vita, sugli altri e perfino su Dio. Quando abbiamo una responsabilità, di qualunque natura essa sia nella comunità (o all'interno di una associazione), facilmente siamo tentati di interpretarla come un esercizio di potere da cui riceviamo la conferma della nostra personale importanza. Per questa ragione san benedetto ha posto all'inizio della sua Regola un lungo capitolo sull'umiltà - questo lungo cammino per il quale noi veniamo gradatamente stabiliti nell'amore del Signore e possiamo rimanere dentro questo amore.

Servire i nostri fratelli per un certo tempo non è difficile.. Servire Dio per un po' non è difficile. Amare in certe circostanze non e difficile. Difficile è perseverare nel servizio, nell'amore, nella fedeltà. Per questo san Benedetto insiste tanto nella sua Regola sull'idea di stabilità, espressa da parole come "restare, rimanere, perseverare"... Casi, durante il noviziato, la Regola viene letta al novizio per tre volte e ogni volta non gli è permesso di continuare a vivere in comunità se egli non è in grado di promettere di perseverare nella stabilita.

Al capitolo 15 del Vangelo di San Giovanni (che corrisponde al capitolo di Luca da cui è tratto il Vangelo di oggi), nell'ultimo discorso dell'ultima Cena, Gesù dice ai suoi discepoli: " Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io persevero nell'amore del Padre mio, osservando i suoi comandamenti... Se qualcuno mi ama... il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora (= luogo dove ci si ferma, in cui si persevera)."

Un monastero è proprio questo: una dimora. Non è un luogo dove si e in visita o di passaggio. E' un luogo in cui ci si ferma, in cui si persevera nel servizio, nella meditazione della parola di Dio, dell'amore di Dio. Ed è quindi un luogo in cui Dio stabilisce la sua dimora in noi e in mezzo a noi.

In questa solennità di San Benedetto, rendiamo grazie a Dio di averci dato la grazia di una dimora in cui possiamo servirlo servendo i nostri fratelli, la grazia di un luogo in cui possiamo rimanere nella Parola e dove la Parola può fare in noi la sua casa.