21 novembre 1999 – Festa di Cristo Re

Cinquantesimo anniversario della professione monastica di Padre René (a Scourmont).

 

O M E L I A

 

            Oggi, in questa bella festa della regalità di Cristo, signore del tempo e degli esseri, uno dei membri della nostra comunità, Padre Réné, celebra il suo cinquantesimo di professione monastica. Mi sembra che la coincidenza sia interessante, poiché le prime parole del Prologo della Regola di San Benedetto, che è la Regola da noi seguita, costituiscono un eccellente commento al Vangelo e alla Festa di Cristo Re.            Rivolgendosi a colui che ha sentito la chiamata alla vita monastica, dice Benedetto: “Le mie parole si rivolgono a te, chiunque tu sia; avendo rinunciato alla tua volontà per seguire il Cristo Signore, il vero re, prendi le fortissime e gloriose armi dell’obbedienza”.

            San Benedetto parla di Cristo Re; ma l’immagine che usa non è quella di un padrone severo, che ha i suoi sudditi e schiavi ai suoi piedi. E’ l’immagine di un maestro pieno di bontà. A dire il vero, Benedetto, da buon romano del VI secolo, utilizza immagini militari. Il Cristo è un re sceso in campo contro le potenze delle tenebre. E’ il Cristo che ci descrive la Lettera ai Filippesi. Si è umiliato, annientato; si è fatto ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Ha rinunciato a rivendicare la sua uguaglianza con Dio. Ha rinunciato ai suoi diritti e privilegi, per adottare questa forma  ultima e perfetta dell’amore, che è l’ubbidienza.  Ed è per questo che il Padre lo ha gratificato e gli ha dato il nome di Signore (Kurios). Egli è innalzato sul trono della croce, e ritorna nella sua gloria alla fine dei tempi.

            Allora, dice ancora Benedetto, chiunque vuole mettersi al servizio di questo re, deve anch’egli prendere le armi fortissime dell’ubbidienza. E nella sua formula di professione il monaco non promette soltanto l’ubbidienza, ma anche la stabilità e la conversione della propria vita. La “stabilità” è un’altra parola di origine militare. La persona stabile è quella che non indietreggia, che non fugge davanti al nemico, ma resta saldo e senza paura. E’ questo il primo significato della stabilità; il secondo è quello di restare fermi nello stesso luogo, come lo è stato Padre René a Scourmont per più di cinquant’anni, perché questo luogo è santo. E questo luogo è santo perché il Signore lo ha scelto come un luogo speciale della sua presenza.

            Ogni volta che vogliamo avvicinarci al Signore nella preghiera basta, come dice ancora Benedetto, aprire l’orecchio del nostro cuore, per sentire la voce del Signore parlare a noi, come già a Mosé: ”Togliti i sandali, poiché il luogo dove ti trovi è santo.”

            Di San Benedetto è stato detto e scritto che parla poco di Cristo nella sua Regola, che non nomina mai il nome di Gesù, che sembra dimenticare l’umanità di Cristo. Evidentemente non dobbiamo cercare nel sesto secolo degli accenti affettivi come  ne troveremo nella devozione all’umanità di Cristo presso gli autori del XII secolo. Tuttavia, se leggiamo la Regola di San Benedetto, vediamo che parla costantemente dell’umanità di Cristo, e in un modo molto evangelico.

            Il Cristo dei Vangeli è un Cristo che si identifica all’umanità, specialmente ai piccoli, ai poveri, ai bisognosi. Costoro sono, dopo la Resurrezione, la carne di Cristo, la sua umanità. Ora, è proprio di questa umanità di Cristo che San Benedetto ci invita a prenderci cura in un modo tutto speciale. Ci domanda di servire i malati come se fossero il Cristo in persona. Ci domanda di accogliere tutti gli ospiti che vengono al Monastero, come accoglieremmo Cristo stesso. L’Abate deve prendersi cura dei fratelli che sbagliano con molta attenzione ed affetto, perché non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati, ecc.

            Era già questo l’insegnamento del profeta Ezechiele, che ci presentava già il Messia come il buon Pastore che veglia sulle sue pecore, come abbiamo sentito nella prima lettura. Ora, quando Ezechiele offriva questo messaggio, la monarchia di Israele era decaduta, e il popolo sottoposto alla deportazione. In questa fine d’anno liturgico, e in questa fine secolo, mentre parliamo della grazia della stabilità monastica, come ho fatto poco fa, evocando i cinquant’anni di professione di Padre René, non dobbiamo dimenticare nella nostra preghiera tutte le popolazioni deportate della terra, tutte le vittime delle guerre, che sono private di qualunque forma di stabilità. Quando ogni giorno ripetiamo “venga il tuo Regno”, domandiamo l’avvento del Regno escatologico, dove non ci saranno più le guerre, la sofferenza, la povertà, l’esilio e la fine, ma la pace stabile per tutti.

 

Armand Veilleux   ocso

 

(traduzione di Anna Bozzo)