10 giugno 2007 --
Solennità del Corpus Domini « C »
Gen 14,
18-20 ; 1 Co 11, 23-26 ; Lc 9, 11-17
O m e l i a
Lungo tutto l’Antico Testamento, vediamo un’umanità, il
cui istinto di sopravvivenza si esprime attraverso la violenza, ma che
gradualmente è trasformata dallo Spirito di Dio, specialmente attraverso il
ministero dei grandi profeti. Via via che gli esseri umani si spiritualizzano, e
si lasciano penetrare dallo Spirito, imparano a fondare le loro relazioni sulla
condivisione, anziché sulla violenza. Finalmente appare il Messia, ripieno
dello Spirito, che non soltanto insegna agli uomini a condividere e li invita a
farlo, ma si dona lui stesso completamente e interamente, col suo corpo e il suo spirito. Questo lungo cammino dell’umanità, che è durato
non qualche migliaio, bensì milioni di anni, è ben riassunto simbolicamente
nelle letture della messa di oggi.
Abbiamo avuto tutti, un giorno o
l’altro, l’occasione di versare del cibo in un recipiente dove si precipitavano
tutti insieme parecchi animali, per esempio piccoli cani o porcellini. Abbiamo allora assistito a una dimostrazione
della legge del più forte, nella sua più primitiva crudezza. Una scena del genere è un simbolo abbastanza
preciso delle relazioni tra gli umani, quando non si aprono alla dimensione
spirituale del loro essere. E’ un po’ il contesto della nostra prima lettura
della messa di oggi, sulla quale conviene fermarsi un attimo, piuttosto che
vedervi semplicemente la misteriosa menzione di “Melchisedech” e la sua offerta
di pane e vino. Il contesto è il seguente: Abramo e suo fratello Loth si erano
appena separati perché, dice il racconto della Genesi, « i loro beni erano
troppo importanti perché potessero vivere insieme» (Gen. 13, 6). Loth si avventura in una regione dove tanti piccoli
re si fanno guerra tra loro, e viene rapito con tutti
i suoi beni. Abramo parte in guerra con qualche centinaio di schiavi e lo
libera, insieme con le persone al seguito e i beni del re di Sodoma. E’ allora
che Melchisedech, re di Salem, pronuncia questa benedizione, che non ha nulla
di molto “cristiano”: « Sia benedetto il Dio Altissimo che ha consegnato i tuoi
nemici nelle tue mani ». E ciascuno dei « re » recupera i suoi beni (Gen 14,
21-23). Questa scena di umanità guerriera e violenta ci aiuta a cogliere meglio
il carattere radicalmente nuovo e diverso del messaggio di Gesù nel Vangelo di
oggi, il Vangelo della distribuzione dei pani e dei pesci.
In effetti, nel testo evangelico che abbiamo letto, è
questione di condivisione e non di moltiplicazione. Né
il sostantivo « moltiplicazione », né il
verbo « moltiplicare » si trovano nel testo. Il miracolo che qui è descritto è il miracolo
della « condivisione ». Quando gli esseri umani « condividono » ciò
che hanno – ed è sempre un miracolo – ce n’è sempre abbastanza per tutti.
Vediamo anche il contesto di questo racconto evangelico.
L’evangelista Luca lo colloca all’inizio della vita pubblica
di Gesù (al capitolo 9 del suo Vangelo). I discepoli sono appena tornati
dalla loro prima missione, alla quale Gesù li aveva mandati a mani vuote – e
sono tutti fieri di essere riusciti a cacciare i demoni e a guarire i malati.
Gesù li invita allora a ritirarsi con lui nel deserto per riposarsi. Ma la
folla gli viene dietro. Il racconto che segue allora comincia esattamente come
quello dell’incontro di Gesù sulla via di Emmaus - « il giorno cominciava
a imbrunire»; e i due racconti termineranno con la frazione del pane.
I discepoli, da uomini pratici quali erano – erano
pescatori abituati a vendere il prodotto della loro pesca - dicono a Gesù di congedare questa folla
di gente perché vadano a darsi da fare per trovare da mangiare e un posto per
dormire. Gesù risponde loro: « date loro voi stessi da mangiare». I
discepoli fanno subito il calcolo e vedono che le loro magre risorse (che del
resto provenivano da alcune donne benestanti che seguivano Gesù – cf. Luc 8,1-3)
non sarebbero bastate. Ma non è questo che vuole Gesù. Lui vuole che dividano
tutto ciò che hanno, anche se è poco. E allora vi è per tutti più del
necessario. Tutti sono saziati. Non vi è
più chi ha fame.
Dopo duemila anni, questo messaggio di condivisione è ben
lontano dall’avere penetrato i nostri cuori e dall’avere trasformato l’umanità
in cui viviamo, dove tanti milioni, e perfino miliardi di persone soffrono
quotidianamente la fame, mentre non mancano le risorse da spartire. Si potrebbe
trovare un simbolo di questa umanità nella recente riunione del G8 in
Germania. Questo rituale, che si ripete
ormai ogni tre o quattro anni, dove i capi di Stato
degli otto paesi più ricchi del pianeta, protetti dalle folle da una barriera
di sicurezza, costata 135 milioni di euro, ci ricorda che l’umanità è ancora
molto più vicina al tempo di Abramo e di Melchisedech e delle razzíe dei re di
Sodoma e Gomorra (di cui ci parlava la prima lettura) che al messaggio di
condivisione di Gesù nel Vangelo.
Non bisogna tuttavia scoraggiarsi, né rassegnarsi. Già il
racconto dell’Istituzione dell’Eucarestia che ci offre
San Paolo nella nostra seconda lettura di oggi, si situava in un contesto in
cui egli rimproverava ai Corinzi di peccare contro il senso stesso della cena
eucaristica, portando ciascuno il suo proprio cibo, per cui alcuni si
rimpinzavano, mentre altri restavano affamati.
E’ comunque in questo testo di Paolo che troviamo la
parola centrale e la più essenziale delle tre letture di oggi. Sono le parole
di Gesù che dice, distribuendo il pane e il vino con i suoi discepoli: Questo è il mio corpo che è dato per voi e
Questo è il mio sangue versato per voi. Con
queste parole Gesù ci rivela che la vera condivisione, quella che lui ha
vissuto fino all’ultimo, va ben al di là del dividersi beni e cose. E’ la
condivisione di se stessi, di tutto il nostro essere, di tutte le nostre forze.
Di questa liturgia di oggi, riteniamo allora questo
richiamo alla condivisione – un invito a dividere non soltanto ciò che possiamo
avere, ma a dividerci noi stessi, a offrirci, a darci. Così faremo ciascuno la
nostra piccola parte in questa lenta « spiritualizzazione » dell’umanità,
iniziata molto tempo fa, e che è ben lontana dall’essere
terminata. Ma noi sappiamo che l’umanità vi arriverà, perché uno di noi,
Dio fatto carne, si è dato totalmente, e ci ha tracciato il cammino.
Armand
Veilleux