20 aprile 2000 – Giovedì Santo "B"
Es 12,1...14; 1 Co 11,23-26; Gv 13,1-15

O M E L I A

Il popolo di Israele ebbe fame e andò a vendere la sua libertà in Egitto per un po’ di pane. Ma un giorno Dio lo liberò dalla sua schiavitù e la Pasqua dell’Antica Alleanza fu il ricordo annuale di questo evento.

Alla fine dei tempi Dio inviò il proprio Figlio per liberare tutta l’umanità dalla schiavitù del peccato; e la Pasqua della Nuova Alleanza è il ricordo quotidiano di questa liberazione realizzata da Gesù di Nazareth.

In questo Giovedì della Grande Settimana, in cui noi celebriamo in modo particolare l’istituzione dell’Eucaristia, che Gesù ci ha detto di fare “in memoria di Lui”, leggiamo il Vangelo di Giovanni, che paradossalmente è il solo dei quattro Evangelisti  a non riferire le parole dell’Istituzione dell’Eucaristia, anche se riferisce nei dettagli i discorsi intimi di Gesù ai suoi discepoli nell’ultima Cena. In realtà Giovanni è più preoccupato da ciò che l’Eucaristia esprime simbolicamente che dal simbolo in se stesso.

L’ultima Cena, quale è stata vissuta da Gesù è stata l’espressione ultima di un amore che aveva segnato tutta la sua vita. L’inizio del racconto lo dice in maniera chiarissima: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.” –  fino alla fine della sua vita, delle sue forze, del suo sangue. Tutto, nel corso di quella cena –  i gesti come le parole – è pieno di tenerezza. Ma questa tenerezza non è che l’espressione dell’amore che Gesù non ha mai smesso di manifestare a tutti nel corso degli anni precedenti.

La lavanda dei piedi è un simbolo e, come ogni simbolo, sarebbe vuoto se la realtà da esso simboleggiata non esistesse. Quando Gesù dice: “vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io, facciate anche voi”, non invita soltanto a praticare dei gesti simbolici e sacramentali come la lavanda dei piedi e la frazione del pane. Invita a vivere nella vita quotidiana ciò che questi gesti significano. La celebrazione quotidiana dell’Eucaristia ci richiama ogni giorno il nostro compito di amare veramente e concretamente tutti i fratelli e tutte le sorelle del Cristo, soprattutto coloro con cui egli ha scelto di identificarsi  in modo preferenziale: i piccoli, i poveri, gli abbandonati, gli oppressi.

Una delle cose più impressionanti concernenti Gesù  nell’approssimarsi della sua morte è la sua grande lucidità, sottolineata da Giovanni all’inizio dei questo racconto. “Sapendo che era venuta per lui l’ora di passare da questo mondo a suo Padre….”  E  sapendo che il Padre ha nesso tutto nelle sue mani…”…Questo “sapere”, questa saggezza, lo spinge all’azione. Si alza da tavola, posa i suoi vestiti e prende un asciugamano che si lega alla vita, come un servo.

Pietro invece, non sa, non capisce. “Tu non mi laverai i piedi!”…”  ..“ Più tardi capirai” gli dice Gesù. Ma nel frattempo gli domanda di accettare di farsi lavare i piedi da lui. Non accade spesso la stessa cosa a noi, che dobbiamo continuare ad essere fedeli nella fede, anche quando non sappiamo, non capiamo.

Dopo essersi “alzato da tavola” e aver fatto il gesto del servitore, Gesù si rimette a tavola e comincia a pronunciare quegli ammirevoli discorsi in cui egli si mostra veramente nostro  padre, amico, fratello, ma anche il maestro. Con questo esempio Gesù ci insegna ad essere consapevoli dei nostri compiti e delle nostre funzioni rispettive nella Chiesa, nella società, nella nostra comunità e a svolgere queste funzioni senza pusillanimità, ma anche senza orgoglio e senza falsa umiltà, ma in uno spirito di servizio, visto che Lui, il Maestro, non disdegna di lavarci i piedi ogni volta che ci avviciniamo alla tavola del perdono, o alla tavola del pane eucaristico..

Nel profondo dei nostri cuori, e anche in gesti concreti, simbolici o pratici, laviamoci i piedi reciprocamente, e soprattutto accettiamo di farceli lavare, perdonando e accettando di lasciarci purificare dal perdono degli altri.

Armand VEILLEUX