IL CARDINE

DI OGNI

COMUNITA'

Non è possibile che si formi una comunità cristiana, affer­ma l'Istruzione, se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della Eucaristia... è in essa che è il centro di tutta la vita cristiana, tanto per la Chiesa universale quanto per le comunità locali della Chiesa medesima.

Su questo aspetto del mistero eucaristico presentiamo alcu­ne puntualizzazioni di padre Armando Veilleux, giovane trappista canadese che ha compiuto studi liturgici, soprattutto sul rapporto tra liturgia e vita monastica.

 

La relazione essenziale che c'è tra la Chiesa e l'eucaristia è in effetti l'elemento fondamentale di tutta la dottrina ri­chiamata nella presente Istru­zione. Questa rinvia d'al­tronde alla costituzione del concilio sulla Chiesa ín cui ta­le relazione è meravigliosa­mente bene esposta nel quadro di tutta la storia della salvezza. Nell'eucaristia è ri-presentata o ri-attuata la pasqua della Nuova Alleanza, cioè la passione del Cristo per la quale egli si è, attraverso il sangue, acquistato un po­polo nuovo di « redenti ». Nello stesso tempo, in questa stessa celebrazione eucaristi­ca che è un banchetto memo­riale in cui la Chiesa celebra il ricordo di questa pasqua del Cristo, la Chiesa si mani­festa anche come mistero di vita e di comunione divina, sotto il segno della comunio­ne fraterna.

Come è sottolineato nella domanda, l'istruzione ricorda che l'eucaristia è al centro della Chiesa universale e lo­cale. E' importante compren­dere bene che la Chiesa uni­versale non è semplicemente un grande organismo compo­sto di tutte le Chiese locali. La Chiesa locale è al contra­rio la realizzazione concreta o l'attuazione della Chiesa uni­versale. In ogni comunità cri­stiana locale, è presente il mi­stero integrale della Chiesa. E' per questo che non c'è una eucaristia della Chiesa univer­sale e un'eucaristia della Chie­sa locale! L'eucaristia è le­gata essenzialmente a un luo­go e a una comunità locale concreta e visibile. Non per questo essa è meno il sacrifi­cio unico del Cristo e dunque della sua sposa, la Chiesa.

Quante
« presenze » reali?

In effetti, sulla traccia del­la costituzione conciliare sul­la liturgia e dell'enciclica « Mysterium fidei », l'Istruzio­ne enumera alcuni modi di­versi di presenza del Cristo nella 'sua Chiesa. Egli è pre­sente nell'assemblea dei fede­li riuniti in suo nome. E' pre­sente nella proclamazione del­la parola. Nel corso della ce­lebrazione dell'eucaristia è presente contemporaneamen­te nell'assemblea, nella per­sona del ministro, nel pane e nel vino consacrati. Abbia­mo l'abitudine di chiamare « presenza reale » quest'ulti­ma forma di presenza del Cri­sto, nelle specie consacrate. L'Istruzione ha cura tuttavia di richiamare che le altre for­me di presenza sono pure rea­li, sebbene in maniera diver­sa. La distinzione fra queste diverse forme di presenza, si trova nell'ordine della sacra-mentalità o della significazio­ne. E' sempre lo stesso Cristo che è presente ma nell'assem­blea è presente sotto il segno della comunione fraterna nel­la carità e il culto. Nell'euca­ristia, è presente sotto il se­gno del pane e del vino. La differenza non viene tuttavia soltanto dal « segno », ma an­che dall'aspetto particolare del mistero della Salvezza che è significato. Come spiega l'Istruzione, il proprio del­l'eucaristia, è che- il Cristo vi è presente sotto le specie eu­caristiche, in quanto nutri­mento spirituale dei fedeli.

Perché la
concelebrazione?

Si potrebbe dire che ogni celebrazione eucaristica è essenzialmente una concelebra­zione, poiché tutti quelli che assistono vi con-celebrano, ciascuno nel suo rango gerar­chico. Oggi quando si parla dì concelebrazione si intende evidentemente la partecipa­zione di più preti alla stessa celebrazione eucaristica nella quale essi esercitano la loro funzione sacerdotale. Questa forma di celebrazione permet­te a tutti i preti di una stessa comunità (parrocchiale o re­ligiosa) di partecipare insie­me alla celebrazione eucari­stica della comunità locale di cui fanno parte e in cui eser­citano il loro ministero. E' qui, mi sembra il senso più profondo della concelebrazio­ne: manifestare l'unità della comunità,

Bisogna d altronde riflette­re sul senso della moltiplica­zione delle messe. Non vi è nella Nuova Alleanza che un solo prete, il Cristo, e un solo sacrificio, quello della Croce. Lo scopo della ripetizione del­le messe è di rendere presente questo unico sacrificio così spesso e in tutti i luoghi in cui è necessario perché tutti i fe­deli e tutte le comunità locali possano unirvisi. L'Istruzione raccomanda che, quando non c'è questa ragione pastorale, si eviti la dispersione della co­munità che risulta dalla cele­brazione più messe nella stessa chiesa, nello stesso tempo. E l'Istruzione aggiun­ge che un mezzo eccellente d'evitare questa dispersione è la concelebrazione.

L'Eucaristia
principio di unità
di ogni comunità
umana?

Da questo punto di vista, credo che tutto quello che posso dire di una comunità monastica vale tale e quale per ogni altra comunità cri­stiana. Vale certamente per la famiglia, per esempio, che il Concilio chiama una « Chiesa domestica ».

Dal punto di vista propria­mente teologico, l'eucaristia fa la comunità e la comunità fa l'eucaristia. La comunione d'amore, di fede e di speran­za deve preesistere alla cele­brazione eucaristica. In que­sta celebrazione questa comu­nione, diviene, nella sua mani­festazione sacramentale, rea­lizzazione e segno (efficace) del Mistero della Chiesa che è un mistero di comunio­ne divina. Essa diviene dun­que realizzazione locale della Chiesa, una comunità nel sen­so più forte.

 

ARMANDO VEILLEUX