Questions monastiques en général
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Comunità ed eremo nella tradizione monastica
occidentale Bose, 9 settembre 2010 XVIII
Convegno
Ecumenico
Internazionale Comunione e solitudine sono
due
dimensioni
essenziali
della
vita
cristiana.
Dio
è
comunione,
ci
dice
san
Giovanni,
e
quello
che
noi
chiamiamo
“chiesa”
altro
non
è
che
la
comunione
tra
tutti
coloro
che
hanno
messo
la
loro
fede
in
Cristo.
Quanto
al
deserto,
già
nella
spiritualità
dell’Antico
Testamento
esso
aveva
un
ruolo
centrale,
e
non
tanto
come
luogo,
ma
in
riferimento
a
quel
periodo
eccezionale
durante
il
quale
Dio
si
era
forgiato
un
popolo.
Nel
vangelo,
è
il
luogo
in
cui
Gesù
si
ritira
per
pregare,
ma
anche
quello
in
cui
incontra
sul
loro
terreno
le
forze
del
male. Queste due dimensioni sono
strettamente
legate
tra
loro:
la
solitudine
è
il
luogo
dell’incontro.
Gesù
invita
chi
vuole
pregare
a
entrare
nel
proprio
cuore
e
a
chiudere
la
porta,
per
esservi
udito
dal
Padre.
Nel
suo
discorso
di
addio
ai
discepoli,
egli
dice
loro
che
se
qualcuno
ascolta
la
sua
Parola
il
Padre
suo
l’amerà
ed
essi
verranno
e
prenderanno
dimora
presso
di
lui
(cf.
Gv
14,23).
Il
neologismo
latino
eremus,
inventato
dai
primi
autori
latini
cristiani
per
tradurre
il
greco
éremos,
non
designa
primariamente
un
luogo,
ma
un’esperienza
spirituale,
che
ricorda
quella
del
popolo
di
Israele
nel
deserto,
come
anche
quella
di
Elia
e
di
Gesù. Dunque è evidente che queste
due
dimensioni
fondamentali
e
complementari
di
ogni
vita
cristiana
diventano
elementi
essenziali
di
quella
forma
di
sequela
che
risale
a
Cristo
stesso,
e
alla
quale,
a
partire
dalla
fine
del
iii
secolo,
viene
assegnato
il
nome
di
vita
monastica. Mi pareva importante sottolineare,
fin
dall’inizio,
che
non
vi
è
vita
cristiana,
e
dunque
vita
monastica
cristiana
autentica,
che
non
comporti
queste
due
dimensioni
complementari
di
solitudine
e
di
comunione,
anche
se
equilibri
diversi
tra
queste
due
componenti
porteranno,
a
partire
da
una
certa
epoca,
a
parlare
di
due
forme
di
vita
monastica
distinte,
designate
l’una
come
“vita
cenobitica”
e
l’altra
come
“vita
eremitica”.
Al tempo di Cristo tutto
il
Medio
oriente
era
traversato
da
una
grande
corrente
spirituale
incentrata
sulla
ricerca
di
Dio
nell’ascesi,
nella
solitudine
e
nella
contemplazione.
La
vita,
la
predicazione
e
il
battesimo
di
Giovanni
Battista
erano
riconducibili
a
questo
movimento,
così
come
la
tradizione
degli
Esseni,
che
vivevano
nelle
vicinanze
e
che
risaliva
all’epoca
dei
Maccabei:
un
movimento
che
aveva
radici
lontane
in
Persia
e,
ben
oltre,
in
un
archetipo
umano
fondamentale. Quando Gesù di Nazaret scende
nelle
acque
del
Giordano
per
farsi
battezzare
da
Giovanni,
egli
si
ricollega
a
tutta
questa
grande
corrente
ascetica
e
mistica
e
assumendola
le
conferisce
nuovo
significato.
Molti
tra
i
primi
cristiani,
volendo
adottare
come
modalità
permanente
di
vita
alcune
delle
esigenze
radicali
poste
da
Gesù
a
quelli
che
volevano
seguirlo,
troveranno
in
questa
espressione
religiosa
della
cultura
del
loro
tempo
la
forma
di
concretizzazione
opportuna.
Ritengo
quindi
che
sia
proprio
al
Giordano,
al
momento
del
battesimo
di
Gesù,
che
ha
avuto
inizio
quella
forma
di
vita
cristiana
che
qualche
secolo
dopo
sarà
chiamata
“monachesimo”,
ma
che
esisteva
già
nell’ascetismo
cristiano
primitivo
sia
all’interno
delle
comunità
cristiane,
sia
in
una
relativa
solitudine
ai
margini
di
queste. Dunque il monachesimo cristiano
non
è
nato
in
Egitto
alla
fine
del
iii
secolo,
per
poi
diffondersi
prima
in
oriente
e
in
seguito
in
occidente:
questo
è
un
mito
oggi
del
tutto
inaccettabile.
È
nato
al
tempo
delle
prime
generazioni
cristiane,
all’incirca
nello
stesso
periodo
in
tutte
le
chiese
locali
d’oriente
e
d’occidente,
dalla
vitalità
stessa
di
ciascuna
di
queste
chiese
(e
non,
come
vorrebbe
un
altro
mito,
in
reazione
alla
mancanza
di
fervore
delle
comunità
cristiane
dopo
la
fine
delle
persecuzioni). Detto questo, mi limiterò
ora
a
parlare
del
monachesimo
occidentale,
dal
momento
che
è
questo
l’argomento
che
mi
è
stato
assegnato.
E
non
vorrei
cedere
alla
tentazione
della
via
più
facile,
che
consiste
nel
descrivere
semplicemente
le
diverse
forme
istituzionali
di
cenobitismo
e
di
eremitismo
che
la
chiesa
d’occidente
ha
conosciuto
nel
corso
dei
secoli:
una
storia
che
è
stata
già
fatta,
e
non
sarebbe
molto
utile
farne
un
riassunto.
Vorrei
piuttosto
mostrare
come
tale
relazione
tra
solitudine
e
comunione
–
e
una
sana
tensione
tra
le
due
–
sono
state
vissute
nel
corso
del
tempo,
in
risposta
a
congiunture
ecclesiali
differenti,
che
a
loro
volta
corrispondevano
a
situazioni
di
instabilità
della
società
e
della
cultura. In effetti, si può facilmente
constatare
che
i
grandi
periodi
di
sviluppo,
di
rinnovamento
o
di
riforma
del
monachesimo
sono
sempre
stati
epoche
di
profondo
mutamento
socio-culturale.
È
anche
interessante
rilevare
come
ciascuno
di
questi
periodi
di
articolazione
della
storia
sia
caratterizzato
da
una
crisi
del
cenobitismo
che
provoca
una
nuova
ondata
di
eremitismo,
la
quale
a
sua
volta
porterà
a
un
rinnovamento
del
cenobitismo
stesso,
prima
che
si
ricominci
da
capo.
* * * Il vangelo si è diffuso
in
occidente
–
come
del
resto
in
oriente
–
utilizzando
i
mezzi
di
comunicazione
dell’Impero
romano.
Ora,
l’Impero
romano
era
una
federazione
di
“città”.
Questo
spiega
perché
il
cristianesimo
è
stato,
al
tempo
delle
origini,
soprattutto
una
religione
urbana.
Si
può
parlare
della
chiesa
di
Cartagine
e
di
Roma
come
si
parlava
della
chiesa
di
Corinto,
di
Antiochia
o
di
Efeso.
Bisognerà
attendere
la
caduta
dell’Impero
romano
e
le
invasioni
dei
barbari
per
assistere
a
una
vera
e
propria
evangelizzazione
delle
campagne.
È
evidente
dunque
che
l’ascesi
cristiana
è
stata
vissuta,
nel
corso
dei
primi
secoli,
non
soltanto
al
cuore
delle
città,
ma
all’interno
delle
famiglie.
La
vita
delle
vergini
e
delle
vedove,
ma
anche
degli
asceti
di
sesso
maschile
–
effettivamente
meno
numerosi
–,
si
svolgeva
in
una
relativa
solitudine
nella
loro
casa
privata,
non
senza
una
comunione
costante,
soprattutto
nella
liturgia,
con
la
chiesa
locale.
È
l’epoca
di
Tertulliano
e
di
Cipriano,
che
si
possono
considerare
i
padri
dell’ascetismo
occidentale.
Un
po’
più
tardi
nasce
l’esperienza
delle
grandi
dame
romane
che
vivono
all’interno
della
loro
casa
privata
un’ascesi
rigorosa
e
una
vita
di
solitudine,
ma
ricevendo
in
essa
anche
il
clero
romano,
di
cui
divengono
le
guide
spirituali. Questo ascetismo occidentale
nelle
prime
generazioni
era
prevalentemente
femminile,
perché
gli
uomini,
per
assolvere
i
loro
doveri
militari
in
seno
all’esercito
romano
dovevano
praticare
i
riti
della
religione
pagana
ufficiale,
e
spesso
ricevevano
il
battesimo
solo
in
età
avanzata
o
addirittura
sul
letto
di
morte,
molto
tempo
dopo
che
le
loro
spose,
sorelle
e
figlie
si
erano
fatte
cristiane. Ma a partire dal iv secolo
si
sviluppa
in
occidente
un
monachesimo
maschile
caratterizzato
da
grandi
personalità,
uomini
che
saranno,
nella
loro
vita
personale,
volta
a
volta
eremiti,
poi
fondatori
di
cenobi,
prima
di
diventare
vescovi
e
fondatori
di
monasteri
clericali.
Le
comunità
che
essi
fondano,
d’altro
canto,
coniugano
armoniosamente
solitudine,
vita
comunitaria
e
attività
missionaria.
Si
pensi
a
un
Martino
di
Tours
e
a
un
Ilario
di
Poitiers,
così
come
alla
fondazione
di
Ligugé
nel
361
e
a
quella
di
Marmoutiers
nel
371.
Nel
loro
caso,
parlare
di
eremitismo
o
di
cenobitismo
sarebbe
un
anacronismo:
a
seconda
delle
tappe
della
loro
conversione
personale,
essi
passano
dalla
solitudine
alla
vita
comunitaria;
e
quest’ultima,
a
seconda
delle
necessità,
viene
vissuta
in
una
grande
solitudine
o
nell’attività
missionaria. Sant’Onorato sbarca intorno
al
410
sull’isola
di
Lérins,
descritta
come
horror
solitudinis,
ma
in
essa
viene
ben
presto
raggiunto
da
numerosi
compagni.
Qualche
tempo
dopo
Cassiano
tenta
invece
di
riorganizzare
la
vita
cenobitica
già
esistente
a
Marsiglia,
su
invito
del
vescovo
Castore,
ma
la
sua
nostalgia
del
monachesimo
egiziano
conosciuto
vent’anni
prima
lo
porta
a
dare
al
suo
insegnamento
un
orientamento
nettamente
eremitico
in
un
contesto
cenobitico. All’inizio del v secolo,
tra
il
405
e
il
419,
le
invasioni
dei
barbari
cominciano
a
creare
delle
fratture
geografiche
e
sociologiche
nell’Impero
occidentale.
I
romani
abbandonano
ben
presto
la
Bretagna,
i
barbari
passano
il
Reno
e
conquistano
Roma
e,
nel
429,
poco
prima
di
morire,
Agostino
vede
i
Vandali
davanti
alle
mura
di
Ippona.
Valentiniano
III
(425-429)
alla
fine
consegna
l’occidente
ai
barbari,
e,
nel
476,
si
conclude
la
serie
di
imperatori
romani
d’occidente.
La
caduta
dell’impero
romano
e
l’arrivo
dei
barbari
segnano
l’inizio
del
processo
di
conversione
delle
campagne.
Quando Teodorico, re degli
Ostrogoti,
prende
il
potere
a
Roma,
nel
493,
si
apre
di
nuovo
un
piccolo
spiraglio
di
civiltà.
Egli
si
circonda
di
collaboratori
di
grande
qualità,
come
Boezio
e
Cassiodoro,
e
la
sua
apertura
alla
tradizione
romana
permette
la
comparsa
nella
chiesa
della
rinascita
gelasiana.
All’epoca,
Roma
è
ancora,
e
lo
sarà
per
un
certo
tempo,
un
centro
frequentato
da
gente
che
proviene
da
tutta
Italia,
dall’Africa
e
dalla
Gallia
per
studiare. È nella congiuntura di questo
brevissimo
periodo
di
rinnovamento
ecclesiale
e
sociale
che
un
autore
sconosciuto
scrive
la
Regula
Magisteri,
e
tra
gli
studenti
che
venivano
ancora
mandati
dai
genitori
a
Roma
per
la
formazione
c’è
un
giovane
di
Norcia,
un
Benedictus
vir,
come
lo
chiamerà
Gregorio
Magno
due
secoli
dopo. In questo contesto romano,
la
differenza
tra
le
forme
di
vita
è
chiara.
Benedetto
conosce
gli
eremiti,
ma
scrive
una
regola
per
cenobiti.
La
vita
eremitica
per
la
quale
nutre
stima
è
quella
di
chi
fa
l’eremita
dopo
essersi
formato
a
lungo
in
seno
alla
vita
comunitaria.
Questo
tipo
di
monachesimo,
chiaramente
cenobitico,
comincia
a
diffondersi
in
Italia. Ma i barbari dilagano nell’Impero
con
un’ondata
di
nuove
invasioni.
Il
monastero
di
Montecassino
viene
distrutto
nel
573,
e
nulla
rimane
dei
monasteri
fondati
personalmente
da
Benedetto,
a
parte
la
sua
Regola,
che
viene
utilizzata
da
alcune
piccole
comunità
disperse.
Di
essa
viene
a
conoscenza
molto
più
tardi
papa
Gregorio
I
(590-604),
che
non
soltanto
consegna
ai
posteri
l’eredità
del
Benedictus
vir
di
Subiaco
e
di
Montecassino,
raccontandone
la
Vita
nel
secondo
libro
dei
Dialoghi,
ma
invia
monaci
romani
a
evangelizzare
l’Inghilterra.
Forse
bisognerebbe
dire
piuttosto
“romanizzare”
l’Inghilterra,
perché
questa
era
stata
già
evangelizzata
dai
monaci
irlandesi,
i
quali
d’altro
canto
avevano
creato
un
loro
equilibrio
tra
solitudine
radicale
e
comunione
in
seno
alla
chiesa
monastica
locale.
Sempre
nella
stessa
epoca
Colombano
e
i
suoi
monaci
fanno
il
percorso
inverso
e
vengono
sul
continente
a
evangelizzare
la
chiesa
merovingia. Questa rifondazione del
monachesimo
benedettino
da
parte
di
Gregorio
Magno
conferisce
da
quel
momento
al
monachesimo
occidentale
un
orientamento
chiaramente
cenobitico,
con
l’aggiunta
di
un
accento
missionario.
Il
cenobitismo
diventa
sempre
più
organizzato,
mentre
l’eremitismo,
che
comunque
continua
a
sussistere,
non
lo
è
molto.
Tale prevalenza del cenobitismo
come
forma
organizzata
di
monachesimo
viene
fortemente
accentuata
due
secoli
dopo
dalla
riforma
carolingia,
che
impone
una
regola
monastica
unica
per
tutti
i
monasteri
dell’Impero,
mentre,
fino
a
quell’epoca,
la
maggior
parte
delle
comunità
monastiche
trovava
il
proprio
nutrimento
spirituale
nel
ricorso
a
diverse
regole,
ivi
compresa
quella
di
san
Colombano,
anche
se
quella
di
san
Benedetto
si
era
di
fatto
progressivamente
imposta
nella
prassi,
per
il
suo
valore
intrinseco. La riforma carolingia ha
avuto
comunque
il
merito
di
distinguere,
accanto
all’ordo
canonicus
e
all’ordo
monasticus,
l’ordo
solitariorum:
gli
eremiti
da
quel
momento
vengono
riconosciuti
come
categoria
in
seno
alla
chiesa
e
sono
soggetti
a
una
certa
legislazione. L’effetto di questa riforma
carolingia
è
di
breve
durata.
L’occidente
viene
coinvolto
in
una
seconda
ondata
di
invasioni,
che
ha
come
risultato
l’instaurazione
di
una
prima
era
feudale
nella
quale,
sulle
rovine
dell’Impero
carolingio,
si
sviluppa
il
prestigio
del
papato.
Le
comunità
cenobitiche
vengono
assoggettate
ai
signori
feudali
–
che
talora
le
fondano
in
espiazione
dei
loro
peccati
–,
e
aspirano
a
liberarsi
da
questo
rapporto
di
dipendenza.
È
quello
che
fa
Cluny,
mettendosi
sotto
l’autorità
diretta
del
Pontefice
romano
e
acquisendo
così
la
propria
libertas
nei
confronti
di
ogni
signore
feudale,
laico
o
ecclesiastico. La riforma di Cluny è un’imponente
riforma
spirituale,
sotto
la
guida
di
grandi
abati.
Ma
Cluny,
avendo
dovuto
rinunciare
all’autonomia
delle
comunità
locali
per
far
sì
che
tutte
quelle
che
gli
erano
affiliate
fruissero
della
libertas
della
casa
madre,
diventa
un
enorme
ingranaggio
del
mondo
feudale.
A
livello
istituzionale,
questa
riforma
ha
talmente
successo
che
provoca
una
profonda
crisi
del
cenobitismo. Infatti, proprio nel momento
in
cui
prosperavano
le
grandi
abbazie
dove
si
cantavano
le
lodi
di
Dio
con
una
liturgia
elaborata
e
complessa,
e
queste
stesse
abbazie,
fondate
alle
porte
delle
città,
erano
divenute
centri
di
formazione
intellettuale
e
di
servizio
ai
poveri,
un’altra
aspirazione
stava
nascendo
nel
popolo
di
Dio:
è
l’epoca
della
riforma
gregoriana,
che
prende
nome
da
papa
Gregorio
VII
(1073-1085),
anche
se
comincia
prima
del
suo
pontificato
e
continua
dopo
la
sua
morte.
In
quell’epoca
si
assiste
a
un’ondata
dirompente
di
movimenti
di
vita
cristiana
che
imprimono
un
dinamismo
a
tutto
il
popolo
di
Dio.
I
cristiani
–
sia
laici
che
chierici
–
vengono
allora
contagiati
da
una
grande
sete
spirituale.
Questo
movimento
tocca
anche
tutte
le
forme
di
vita
religiosa:
monaci,
canonici
ed
eremiti.
Vi
si
trovano
coinvolti
uomini
e
donne,
celibi
e
sposati,
chierici
e
laici.
L’aspirazione
era
un
ritorno
alla
semplicità
evangelica
della
prima
generazione
cristiana.
Andavano
in
pellegrinaggio
per
le
strade,
partivano
anche
in
gruppi
molto
numerosi
verso
nuovi
“deserti”.
La
crisi
del
cenobitismo
provoca
una
rinascita
dell’eremitismo. Nella prima metà dell’xi
secolo,
alcuni
riformatori,
come
Romualdo
a
Camaldoli,
o
come
Giovanni
Gualberto
a
Vallombrosa,
fanno
della
penitenza
e
della
povertà
vissute
in
solitudine
la
motivazione
del
loro
agire
e
il
cuore
della
loro
riforma.
Nascono
numerose
fondazioni
di
carattere
eremitico.
Si
constata
allora
lo
stesso
fenomeno
presente
in
tutte
le
altre
ondate
di
eremitismo:
se,
tra
coloro
che
andavano
nel
deserto
invece
di
entrare
nelle
comunità
cenobitiche,
o
anche
che
lasciavano
le
comunità
cenobitiche
per
andare
nel
deserto,
vi
era
un
certo
numero
di
autentici
eremiti,
vi
era
però
anche
un
numero
ancor
più
grande
di
persone
che
vi
si
recavano
semplicemente
per
non
aver
trovato
nelle
comunità
cenobitiche
esistenti
la
dimensione
di
solitudine
che
cercavano.
Non
era
raro
allora
che,
dopo
un
periodo
di
solitudine,
alcuni
di
questi
eremiti
divenissero
i
fondatori
di
nuove
comunità
cenobitiche
che
incarnavano
meglio
–
quanto
meno
a
loro
avviso
–
l’equilibrio
tra
solitudine
e
comunione.
Tra i frutti di questa crisi
del
cenobitismo
e
di
questa
nuova
ondata
di
eremitismo,
si
possono
annoverare,
sul
versante
eremitico,
la
fondazione
di
Camaldoli
e
della
Chartreuse,
che
rimarranno
in
vita
fino
ai
nostri
giorni,
e,
sul
versante
cenobitico,
Cîteaux.
Numerose
altre
esperienze
fatte
nella
stessa
epoca
hanno
avuto
vita
breve;
ciò
non
significa
che
non
abbiano
svolto
un
ruolo
efficace
nel
processo
di
rinnovamento
tanto
cenobitico
quanto
eremitico. Mezzo secolo dopo ha inizio
un
lungo
periodo
della
storia
della
chiesa,
al
quale
è
stato
dato
il
nome
di
“Cristianità”,
a
grandi
linee
dal
1140
al
1648.
È
un
periodo
difficile
da
valutare,
durante
il
quale
la
chiesa
ha
svolto
un
ruolo
importante
nell’edificazione
della
civiltà
occidentale.
Vi
è
chi
si
rallegra
che
sia
passato,
mentre
alcune
frange
della
chiesa
di
oggi
vorrebbero
farlo
rinascere.
Si
potrebbe
dire
che
nulla
di
molto
speciale
si
è
verificato
nel
corso
di
questo
lungo
periodo,
sia
per
la
vita
eremitica
che
per
la
vita
cenobitica,
se
non
l’emergere
di
un
bisogno
crescente
di
rinnovamento
e
timidi
tentativi
di
riforma
qua
e
là.
Vi
è
chi
ha
parlato
di
una
nuova
ondata
di
eremitismo
nel
secolo
che
ha
preceduto
la
Riforma
protestante
e
la
Controriforma,
ma
si
trattava
di
tentativi
per
un
rinnovamento
spirituale
che
interessasse
tutte
le
forme
di
vita
religiosa,
più
che
di
una
riscoperta
o
di
un
approfondimento
della
vita
propriamente
eremitica.
Così,
ad
esempio,
il
xiii
secolo
conosce
la
fondazione
dell’Ordine
degli
eremiti
di
sant’Agostino;
ma
si
tratta
di
cenobiti
che
vivono
in
solitudine,
più
che
di
eremiti
in
senso
stretto. Da Trento in poi e fino
al
Vaticano
II,
i
diversi
Istituti
di
vita
eremitica
e
di
vita
cenobitica
continuano
ognuno
nel
solco
della
propria
storia,
cercando
di
rinnovarsi
periodicamente,
spesso
dividendosi
in
osservanze
diverse.
Va
detto
che
l’eremitismo
nella
chiesa
latina
è
quasi
sempre
stato
–
soprattutto
dopo
il
Codice
di
diritto
canonico
del
1917
–
una
vita
solitaria
vissuta
in
comunità,
o
per
lo
meno
in
collegamento
con
una
comunità.
Bisognerà
attendere
il
Codice
del
1983
perché
un
eremita
che
non
appartiene
ad
alcuna
comunità
(a
parte
quella
della
sua
chiesa
diocesana)
possa
essere
considerato
come
“religioso”
o
“consacrato”
(a
seconda
del
vocabolario
che
si
preferisce).
Negli anni immediatamente
precedenti
e
successivi
al
concilio
Vaticano
II
si
assiste
a
una
nuova
ondata
di
eremitismo,
che
contribuisce,
come
in
passato,
a
un
rinnovamento
del
cenobitismo.
Questa
“ondata
di
eremitismo”
del
xx
secolo
di
certo
non
è
stata
un
evento
sconvolgente,
non
ha
portato
delle
folle
al
deserto,
ma
non
è
stata
neanche
priva
di
importanza.
Si
è
manifestata
sia
nella
chiesa
di
Inghilterra
che
nella
chiesa
di
Roma. Evidentemente, come in passato,
molti
di
coloro
che
si
sono
sentiti
chiamati
alla
vita
eremitica
erano
persone
insoddisfatte
–
spesso
a
ragione
–
della
vita
cenobitica
che
si
offriva
loro.
In
seguito,
o
hanno
abbandonato
tutto
dopo
alcuni
anni,
oppure
sono
tornati
alla
loro
comunità
per
lavorare
efficacemente
al
suo
rinnovamento.
Ma
c’è
stato
anche
un
buon
numero
di
eremiti
autentici,
che
hanno
concorso
con
la
loro
vita
di
nascondimento,
come
anche,
in
certi
casi,
con
i
loro
scritti,
al
rinnovamento
di
tutta
la
chiesa.
Si
potrebbero
citare,
tra
gli
altri,
Jacques
Winandy
e
Thomas
Merton. Nel momento in cui questo
fascino
dell’eremitismo
era
al
culmine,
nel
1975,
è
stato
organizzato
un
incontro
dal
canonico
Arthur
McDonald
Allchin
a
Saint
David,
nel
Galles,
per
riflettere
sul
significato
di
tale
fenomeno.
Uno
dei
partecipanti
a
questo
incontro,
monsignor
Kallistos
Ware,
è
qui
presente
tra
noi;
ma
un
altro
ci
ha
lasciati
di
recente.
Si
tratta
di
padre
André
Louf,
un
grande
amico
di
Bose,
che
negli
ultimi
anni
della
sua
vita
ha
realizzato
il
suo
sogno
di
vita
eremitica,
dopo
esser
stato
per
trent’anni
abate
di
una
comunità
cenobitica. Il mondo e la chiesa di
oggi
hanno
bisogno
di
autentici
eremiti
e
di
autentiche
comunità.
Eremiti
e
cenobiti,
tutti
abbiamo
la
stessa
vocazione
e
la
stessa
missione:
quella
di
vivere,
sebbene
in
forme
differenti,
le
due
dimensioni
essenziali
di
ogni
vita
cristiana
che
sono
la
comunione
e
la
solitudine.
Gli
autentici
solitari
vivono
in
profonda
comunione
con
il
mondo
e
la
chiesa,
e
i
veri
cenobiti
sanno
fondare
la
loro
comunione
su
una
relazione
personale
con
Dio
nella
solitudine.
ARMAND VEILLEUX |
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