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25 décembre 2012 – Homélie pour la
Messe de Minuit
O M E L I A
Cari fratelli e sorelle,
La Parola di Dio nelle Scritture è
sempre una parola divina incarnata in una parola umana, e ogni volta in una
tonalità umana diversa. Abbiamo appena ascoltato tre letture molto diverse nel
tono, una del Profeta isaia, un’altra dell’apostolo Paolo, e infine una terza
dell’evangelista Luca. Tutti sanno scrivere molto bene, soprattutto Isaia e
Luca, ma ognuno ha forme di linguaggio che gli sono proprie.
Isaia è un grande poeta. Nel testo che abbiamo
sentito, egli è probabilmente nel suo miglior momento, e l’audacia con cui
tratta le immagini di tenebre e luce, allegria e gioia, guerra e vittoria,
passando per il fuoco e il sangue, lascia senza fiato. L’inizio del poema è
bellissimo : « Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto sorgere una
grande luce; su coloro che abitavano il paese dell’ombra, ecco che una luce ha
cominciato a risplendere ». La fine non è meno toccante : « Ci è nato
un bambino, ci è stato dato un figlio : l’insegna del potere è sulla sua
spalla ». Ma come siamo ancora lontani dal Vangelo ! Tutta questa gioia,
questo troppo pieno di allegrezza viene dalla vittoria su un’altro popolo e
dalla spartizione delle spoglie dei vinti. Una vittoria attribuita all’amore
invincibile del Signore dell’Universo, ma all’amore per un solo popolo.
Il racconto della nascita di Gesù, per
la penna di Luca, è anche pieno di poesia, ma di una poesia molto più serena,
meno esuberante e più evocatrice. Viene menzionata l’oppressione dell’occupante
romano, ma in maniera obiettiva e quasi distaccata : l’imperatore Augusto ha ordinato
un censimento generale dei territori occupati da Roma e ciascuno deve andare ad
iscriversi nella sua città di origine. E’ così che Giuseppe e Maria, la sua
giovane moglie incinta, devono mettersi in cammino, e che Maria deve partorire
durante il viaggio, in mezzo a una folla di gente in movimento. Le nostre traduzioni dicono in genere che
essa mise al mondo « il suo figlio primogenito». In realtà, a voler tradurre fedelmente
il testo di Luca, questo dice che essa mise al mondo «il primogenito», cioè «
il primogenito per eccellenza, il primogenito del Padre eterno ». Lo avvolge in
fasce, che annunciano già la sua sepoltura alla fine del Vangelo, e lo depone
in una mangiatoia, che evoca già l’Eucaristia. Quanto ai pastori, che passavano
la notte nei campi, non sono accecati da una luce eclatante, ma semplicemente «
avvolti nella luce della gloria di Dio. Il racconto di Luca, come quello di
Isaia, termina con la menzione di un Salvatore, ma il segno è molto diverso.
Non è più un figlio che porta sulla spalla l’insegna del potere; è un piccolo
bambino deposto in una mangiatoia.
Diversi anni più tardi, quando questo
bambino è cresciuto, ha predicato la buona novella e ne è morto; quando questa
buona novella si diffonde già attraverso le nazioni, non senza incontrare molta
resistenza, Paolo, che non ha nulla di un poeta, ma ha tutto del missionario
ardente con intuizioni mistiche, affronta in un modo tutto diverso lo stesso
mistero evocato da Isaia e da Luca. Riassume dapprima, e in una brevissima
frase, non solo la nascita, ma tutta la vita di Gesù, dicendo che « la grazia
di Dio – cioè la bellezza di Dio – si è manifestata » e lo ha fatto « per la
salvezza di tutti gli uomini ». Si tratta bene della salvezza di tutti gli uomini, e non più della
vittoria degli uni sugli altri. Questa salvezza risiede infatti nella vittoria
della luce sulle tenebre, nel cuore e nella vita di ciascuno. Questa grazia,
dice, « è quella che ci insegna a rifiutare il peccato e le passioni di questo
mondo ». E qual’è lo scopo di tutto questo, secondo Paolo ? E’ « vivere nel
mondo presente da uomini ragionevoli, giusti e religiosi ».
In questa piccola frase di Paolo c’è
tutto un programma per noi. Dio si è incarnato in Gesù, non per rivelarci
verità astratte sulla divinità, ma per insegnarci il senso della nostra
umanità, insegnarci a vivere « da persone ragionevoli », vale a dire, non
cercando dovunque segni della volontà di Dio su di noi, ma vivendo
semplicemente in conformità con la ragione che ci ha dato. Se viviamo come esseri ragionevoli, è già una cosa enorme ; e
se non lo facciamo, siamo lontani dalla salvezza. Se siamo ragionevoli,
praticheremo anche la giustizia e allora potremo esprimere a Dio un culto
attraverso gesti di religione. L’ordine di queste tre parole « ragionevoli,
giusti e religiosi » nella frase di san Paolo è importante. Sarebbe falso pensare di essere religiosi se
non pratichiamo la giustizia. E sarebbe ridicolo cercare di essere giusti e
religiosi se non viviamo in modo ragionevole.
Finalmente, è in questo insegnamento
di Paolo che troviamo l’essenziale del messaggio di Natale per noi, oggi. In
realtà nel suo insegnamento troviamo tutto il messaggio poetico di Isaia,
riletto alla luce della vita di Gesù Cristo. La gioia non è assente da questo
approccio, ma si tratta della felicità che si vive tra due manifestazioni della
gloria di Gesù, tra il suo manifestarsi nel suo corpo mortale e la piena
manifestazione che ne riceveremo quando lo incontreremo faccia a faccia.
Tutti modi di dire lo stesso mistero :
ci è nato un Salvatore !
Armand
VEILLEUX
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