1° novembre 2009 – Festa di tutti i Santi

Ap 7,2-4.9-14 ; 1 Gv 3,1-3 ; Mt 5,1-12a

 

Omelia 

            Queste parole di Gesù sono parole sorprendenti. Non hanno un gran che di « religioso ». Non si tratta di religione, e neppure di preghiera. Sono parole che si riferiscono alla vita concreta – una vita dove c’è gente che soffre e che viene consolata, gente sottomessa alla propria sorte, che sarà saziata, gente affamata e assetata di giustizia, persone dal cuore puro, che lavorano per instaurare la pace in questo mondo, ma anche gente povera e perseguitata. Tutto sommato, un mondo non molto diverso dal nostro. E a questo mondo Gesù offre la felicità. Una felicità che è a disposizione di tutti, se invece di correre appresso agli idoli del denaro e del potere, optiamo per il regno di Dio. « Beati i poveri ; di essi è il regno dei cieli».           

E’ tutta questa gente felice che noi celebriamo oggi, quelli di ieri e quelli di oggi. Quelli che abbiamo conosciuto nel nostro mondo, e quelli che hanno vissuto dall’inizio dei tempi, e che in un certo modo anche conosciamo. La festa di Ognissanti non è un monumento al santo ignoto, come i monumenti al milite ignoto che si trovano nei cimiteri militari, o sulla piazza centrale di certe città.           

Ciò che oggi celebriamo è la santità di Dio incarnata in donne e uomini in carne ed ossa. Gente ordinaria, con qualità e difetti, virtù e peccati ; non dei paranormali del mondo spirituale. Persone che hanno vissuto una santità possibile, e non una santità impossibile.           

Celebriamo anche una realtà più difficile da definire e che si chiama, nel linguaggio sempre un po’ oscuro dei libri di teologia e di spiritualità, la comunione dei santi. Vale a dire che tutti quelli in cui la santità di Dio si è espressa nel passato, e continua ad esprimersi oggi, formano una grande famiglia. Sono uniti in una grande unità, unione, comunione tra loro e con Dio. Ne facciamo parte anche noi, noi che crediamo in Dio, poiché, malgrado tutti i nostri limiti e perfino i nostri peccati, la santità di Dio si manifesta un po’ in noi. E noi possiamo dunque percepirla in Lui e in tutti i suoi santi, perché non ci è completamente estranea. 

            Dove si trova questa moltitudine di santi che sono vissuti  nei secoli ? – Falsa questione ! – Non sono da nessuna parte. Come non si trova da nessuna parte Dio. Al momento della morte, l’essere umano, che è stato creato con una partecipazione all’eternità di Dio, non cessa di esistere. E’ semplicemente liberato dai limiti del tempo e dello spazio. E’ dunque presente, come Dio, in tutti i tempi e in tutti i luoghi senza essere imprigionato da alcuno. 

            Dato che ogni nostra conoscenza dipende dale immagini che noi ci formiamo delle realtà che ci oltrepassano, quando pensiamo alla vita dopo la morte, non possiamo farlo che per immagini. Ci immaginiamo dunque un luogo che si chiama il cielo. Ci immaginiamo anche le condizioni di vita in questo luogo. Cosi come ci immaginiamo chi è Dio. Evidentemente non vi è nulla di male in tutto questo. Al contrario, non possiamo conoscere nulla senza utilizzare delle immagini.  L’importante è restare sempre coscienti che queste immagini non sono altro che delle minime intuizioni di una realtà che ci oltrepassa infinitamente. E che oltrepassa dunque ogni immaginazione. Una volta capito questo, possiamo lasciare da parte tutta l’iconografia pia e di cattivo gusto che ci descrive sia delle scene sentimentali del cielo sia delle scene spaventose dell’inferno.  Ma nello stesso tempo possiamo trovare un grande incoraggiamento – e anche molta luce – nelle opere dei grandi maestri delle immagini, come sono i grandi poeti e i grandi mistici. Varrebbe la pena di rileggere oggi l’affresco grandioso del Cielo nella Divina Commedia di Dante.

Ma senza andare tanto lontano, oggi avevamo come prima lettura una descrizione del cielo tratta dall’Apocalisse di san Giovanni. Se cerchiamo uan descrizione esatta di un « luogo » che si chiamerebbe « cielo », questa descrizione è per lo meno sconcertante. Ma se cerchiamo di penetrare un po’ di più nel mistero di questa comunione che ci unisce a Dio e a tutti coloro che ci hanno preceduto nel pellegrinaggio terrestre, troveremo questo insieme di immagini di una grandiosa bellezza. Chiudiamo gli occhi, e immaginiamo questi centoquarantaquattro mila beati, vestiti di bianco, ritti in piedi davanti al trono dell’Agnello. Non si puo’ che desiderare di farne parte, far parte di di questa comunione, lasciarsi invadere dalla stessa felicità. 

            Ma se le immagini sono necessarie, non si vive in un mondo di imamgini. Bisogna tenere i piedi in terra e riaprire presto gli occhi. La ricetta della felicità di Gesù, o quelle che si chiamano le sue beatitudini, non appartengono al mondo delle immagini. Gesù al contrario ci riconduce alla realtà – la realtà di tutti i giorni, dove vi sono poveri da aiutare, persone tristi da consolare, affamati da nutrire, vittime della violenza da salvare, la pace da ristabilire – anche se tutto ciò può condurci a essere vittime di incomprensione o di persecuzione. E’ in tutto questo che si trova la felicità a cui Gesù ci chiama – una felicità inimmaginabile, perché è al di là di tutte le immagini.

 

Armand VEILLEUX

 

           

 

 


 

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