11 maggio 2008 - Pentecoste
Atti 2,1-11; 1 Cor 12,3...13; Gio 20,19-23


O M E L I A


Oggi siamo talmente abituati a leggere nei giornali quotidiani la descrizione di tutti gli ultimi avvenimenti, che spesso ci riesce difficile percepire tutta la potenza simbolica dei racconti biblici.

Gesù aveva promesso ai suoi discepoli che avrebbe inviato loro il suo Spirito. Ed è proprio questa irruzione dello Spirito negli Apostoli e nella Chiesa primitiva che ci descrivono Giovanni, nel suo Vangelo, e Luca, negli Atti degli Apostoli, utilizzando ciascuno delle simbologie differenti.

La differenza più fondamentale tra i due è certamente il fatto che il mistico Giovanni rappresenta in una sola giornata quello che Luca, utilizzando tutta la simbologia delle feste religiose dell'Antico Testamento, ripartisce su un periodo di cinquanta giorni.

Leggendo il racconto degli Atti, si percepisce facilmente sullo sfondo, come in filigrana, il racconto della Torre di Babele, e anche le grandi teofanie del Sinai. Giovanni invece si muove piuttosto all'interno di tutto l'universo simbolico che gli è proprio. Come in ogni testo del quarto evangelista, ogni parola è densa di senso, pregnante di significato.

Giovanni colloca questo evento la sera del primo giorno della settimana. Noi siamo al primo giorno di una nuova creazione. Qui abbiamo in filigrana il racconto della Genesi : " Quando Dio cominciò la creazione del cielo e della terra, la terra era deserta e vuota, e le tenebre sovrastavano l'abisso ; il soffio di Dio planava sulla superficie delle acque…Dio separò la luce dalle tenebre…E fu sera, e fu mattina : primo giorno. "

Come Giuseppe d'Arimatea, che era discepolo, ma in segreto, per paura dei giudei ; o ancora, come Nicodemo,che era venuto a vedere Gesù non di giorno, ma di notte, sempre per paura dei giudei, così i discepoli sono riuniti, con tutte le porte chiuse, ancora per paura dei giudei, ed è già sera. La situazione richiama anche la notte dell'Esodo (Es 14,10) durante la quale il Signore era venuto a soccorrere il suo popolo dall'oppressione (Es 12,42 ; Dt 16,1). Allora Gesù fa come aveva promesso (14,18 ; 16, 18). Si trova là. Giovanni non dice che Gesù venne o che entrò. Dice semplicemente che egli era là, in mezzo a loro (cfr. : " Là dove due o tre si trovano riuniti, Io sono là in mezzo a loro ").

" La pace sia con voi ", dice loro. Così conferma loro che ha vinto la morte. Indi mostra loro i segni del suo amore, che sono anche i segni della sua vittoria sulla morte : le sue mani e il suo costato trafitti. Colui che si trova là, in mezzo a loro, è proprio colui che è morto sulla croce ; è l'Agnello di Dio, preparato per essere mangiato durante quella notte pasquale (Es 12,8).

Poi di nuovo augura loro la pace e li manda in missione, soffiando sopra di loro e dicendo : " Ricevete lo Spirito ". Questa volta, in filigrana, è l'ultimo giorno della creazione, il giorno della creazione del primo uomo, che, secondo la bella immagine della Genesi, Dio modellò con le sue mani con dell'argilla, prima di insufflare nelle sue narici il suo proprio Soffio di vita, il suo Spirito.

Il racconto di Luca negli Atti ci descrive con tutt'altre immagini il passaggio dalla paura alla missione. Al centro del suo racconto si trova la Parola - questa realtà che distingue l'essere umano da tutti gli altri esseri viventi su questa terra. Circa mille anni prima di Cristo, uno degli scrittori sacri, senza dubbio impressionato dai templi innalzati dalla cultura sumerica, aveva inventato il racconto della Torre di Babele per spiegare come gli uomini perdono l'armonia tra di loro quando vogliono essere come dei - come il serpente aveva suggerito alla prima donna - e quando si mettono a dominare gli uni sugli altri. La moltiplicazione delle lingue era vista da quell'autore come la perdita totale dell'armonia e della comprensione. Il giorno della Pentecoste, così come viene descritto da Luca, accade tutto il contario. La molteplicità delle lingue e la loro differenza sono viste come un'azione dello Spirito. I discepoli parlano nella loro propria lingua, e tutti, venuti da tutti gli angoli del mondo allora conosciuto, li intendono ciascuno nella sua lingua. È il rispetto più completo possibile della molteplicità e della differenza.

Ormai vi è una lingua comune : quella dell'amore.

I racconti che possiamo leggere quotidianamente nei giornali, a cui facevo allusione all'inizio, sono i racconti di altrettanti sforzi ridicoli che l'uomo fa per trasformarsi in Dio, con le sue conquiste scientifiche, e soprattutto militari, sempre più dotte e sofisticate. Le conseguenze le conosciamo : non soltanto i milioni di vittime delle molte guerre, ma le vittime dei cambiamenti climatici provocati dall'orgoglio umano e più recentemente ancora le vittime delle carestie provocate dalla ricerca sfrenata di nuovi carburanti.

Domandiamo allo Spirito della Pentecoste di scendere di nuovo sulla nostra terra e di insegnare ancora a tutta l'umanità, di insegnare a ciascuno di noi la sola lingua universale che nessuno può imporre, ma che si impone da sola : la lingua dell'amore.

 

Armand Veilleux





 

 

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