29 giugno 2003 – Solennità dei santi Pietro e Paolo
Atti 12,1-11; 2 Tim 4, 6...18; Mat 16, 13-19

Omelia per la solennità dei santi Pietro e Paolo

           

            E voi, chi dite che io sia ?

           

            Capita di elaborare belle meditazioni sulla domanda che Gesù ha rivolto ai suoi discepoli: “per voi, io chi sono ?”, dandole il senso di “quale posto ho io nella vostra vita ?”. Questa interpretazione intimista sarà bella, ma non è ciò che Gesù chiede in questo episodio. Se traduciamo la sua domanda letteralmente, egli chiede loro: “e voi,  chi dite voi che io sia?”, proprio come aveva domandato subito prima : “il figlio dell’uomo, chi è, a sentire ciò che ne dicono gli uomini ?”.  Ciò che colpisce qui è l’importanza  data al fatto di dire chi è Gesù, al fatto di dire la propria fede.

            La fede non è un semplice atteggiamento interiore del cuore, e meno ancora un semplice assenso della coscienza.   La fede va detta. Essa deve dirsi in parole come in azioni.  Rispondendo alla domanda di Gesù, Pietro confessa con le labbra la divinità di Lui: Tu sei il Messia, il figlio del Dio vivente. Più tardi confesserà Gesù con tutta la sua vita, e alla fine con la sua morte. Gesù, a sua volta,  prende la parola per dire chi è Pietro e qual è la sua missione. Non aveva egli promesso che “chiunque mi confesserà davanti agli uomini, io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32) ? 

            Ritroveremo questa unione della parola e delle azioni in tutta l’economia della Redenzione.  Per tutto il Vangelo Gesù proclama la Buona Notizia con parole e segni che si completano e si chiariscono reciprocamente. Giacomo nella sua Lettera affermerà che la fede senza le opere è una fede morta. Bisogna trarne due conclusioni. Da una parte, una fede che non si esprimesse in azioni concrete, nella vita, non sarebbe una fede autentica. D’altra parte, poiché il Padre dice Se stesso nel suo Verbo, la fede deve dirsi anch’essa in parole.  Deve essere proclamata.  Tutta la vita sacramentale della Chiesa è costituita da parole e da gesti, da atti di fede tradotti in gesti di vita.

            La Chiesa è la comunità di tutti coloro che hanno ricevuto il messaggio di Cristo, che  hanno ricevuto da Lui la stessa  domanda che Egli rivolse ai suoi discepoli: “ e voi, chi dite che io sia ?”.  Ciascuno - ciascuno di noi - deve rispondere a questa domanda alla stessa maniera di Pietro, affermando la sua fede in parole, poi traducendo questa parola in una vita al servizio di questa parola.

            Le due principali colonne di questa Chiesa che noi formiamo sono, da una parte, Pietro, che rappresenta i Dodici che Gesù si era scelto durante il suo ministero quaggiù, e dall’altra  Paolo, il prototipo di tutti coloro che furono chiamati in seguito ad essere suoi testimoni. Paolo, nel testo della sua Lettera  al suo discepolo Timoteo, di cui abbiamo letto un brano, getta uno sguardo sulla sua vita che sembra avvicinarsi alla fine e ne parla come di una vita tutta consacrata a dire la Buona Notizia: Egli mi ha riempito di forza perché io possa fino alla fine annunciare il Vangelo.

            Noi siamo tutti chiamati a proclamare il Vangelo  vivendolo, ad annunciarlo attraverso le nostre azioni. Ma questo non basta. Noi siamo anche tutti chiamati a proclamarlo in parole. Lo facciamo ogni giorno nel corso delle nostre celebrazioni liturgiche, e in particolare nella dossologia di ciascuna delle nostre orazioni, in cui diciamo: “ Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio…” Alcuni sono chiamati di più a proclamare la loro fede nella predicazione. Cerchiamo di conservare in modo ben vigile questo legame tra le nostre parole e la nostra vita, nella speranza, fondata sulla parola di Gesù, che Egli  confesserà anche noi davanti al Padre suo e Padre nostro.

            Tra qualche  istante noi ci uniremo ai due grandi confessori della fede che furono Pietro e Paolo, e ai credenti e alle credenti di tutti i tempi, per proclamare la nostra fede cantando il Credo.  Poi, alla fine di questa celebrazione, lasceremo questa chiesa con una coscienza rinnovata dell’importanza di tradurre questa fede nella nostra vita di tutti i giorni.

            Armand Veilleux