26 ottobre 2003   --   XXX domenica "B"

Ger 31, 7-9;  Eb. 5, 1-6; Mc 10, 46-52

 

 

O M E L I A

 

            La prima lettura di oggi è composta di tre versetti del capitolo 31 di Geremia che, con il capitolo 30, costituisce  quello che si è convenuto di chiamare “Libro della Consolazione di Israele” , nel quale trova la massima espressione  tutto il messaggio del profeta. Il popolo è chiamato a gridare di gioia, non per la liberazione o altra cosa appena ottenuta, ma perché il Signore lo farà ritornare, lo radunerà, lo guiderà. Nel testo di Geremia tutti questi verbi sono al futuro.  E chi sarà a beneficiare di questa attenzione paterna di Dio, che è “un padre per Israele”?  Saranno i ciechi, gli zoppi, le donne incinte e le partorienti, queste ultime due categorie rappresentano il dolore dell’esilio e la gioia del ritorno nella terra promessa. La scena in cui, all’inizio del suo ministero, Gesù  risponderà ai discepoli di Giovanni Battista, di andare a riferire al loro maestro ciò che hanno visto:”gli zoppi camminano, i ciechi vedono, i sordi sentono…” fa il collegamento tra questa profezia e la scena del Vangelo di oggi, che si colloca alle porte di Gerico.

 

            Gerico era una città importante che i Galilei dovevano attraversare nella loro salita a Gerusalemme, quando passavano per la valle del Giordano. Questa città delle palme, in mezzo al deserto di Giuda  era, nell’Antico Testamento, la porta della Terra Promessa. Gesù vi passa diverse volte, ma non vi si ferma mai. I Vangeli non menzionano che a Gerico abbia predicato o fatto qualche miracolo. Nel Vangelo di oggi, mentre Gesù sale per l’ultima volta a Gerusalemme, dove sarà messo a morte, attraversa ancora una volta Gerico, ed è  all’uscita della città che egli passa davanti ad un mendicante cieco, al quale dicono che sta passando Gesù di Nazareth,  e allora si mette a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me.”

 

            Mentre quelli che accompagnano Gesù vogliono farlo tacere, Gesù si ferma. Questa parola è importante: quando Gesù è costantemente in cammino per annunciare la buona novella, e soprattutto ora che sale risolutamente verso Gerusalemme, la sola cosa che possa fermarlo nel suo camminare è lo spettacolo della miseria umana e una invocazione alla misericordia. Gesù fa chiamare questo cieco che grida verso di lui, e gli rivolge la stessa domanda che aveva posto a Giacomo e Giovanni nel Vangelo di domenica scorsa: “ Cosa vuoi che faccia per te ? “. L’evangelista sembra qui voler stabilire una comparazione tra i discepoli, che sono stati chiamati a seguire Gesù,  e che sono ancora avidi di potere e di gloria (“accordaci di sedere uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nella tua gloria”) e questo povero mendicante cieco che non desidera nient’altro che “vedere”, e che, appena avrà ritrovato la vista, si metterà a seguire Gesù lungo il cammino che lo conduce a Gerusalemme e alla Croce, mentre Gesù gli aveva detto di andare: “Va’, la tua fede ti ha salvato”.

 

            Questo racconto di guarigione non ha le caratteristiche abituali dei “miracoli” o segni” compiuti da Gesù. Tutto il racconto sottolinea piuttosto la fede come fondamento del camminare al sequela di Gesù:  così il cieco, appena è condotto davanti a Gesù, non lo chiama più “figlio di Davide”, ma gli dà il titolo di “maestro” , con lo stesso accento di intimità che ebbe Maria Maddalena il mattino della resurrezione: “rabbuni”.

 

            Molte volte noi abbiamo fatto, sia nei nostri momenti di preghiera intima, sia nella liturgia, la stessa preghiera di questo cieco: “Figlio di Dio, abbi pietà di me”, forse con lo stesso sentimento di distanza che sembra implicare l’impiego di questo titolo messianico. Allora Gesù ogni volta si è fermato e ci ha parlato. La nostra preghiera è allora diventata più intima e abbiamo potuto, come Bartimeo e come Maria di Magdala, chiamarlo più intimamente  rabbuni , “maestro mio”. Non ci resta che avere il coraggio di seguirlo fino in fondo sul cammino che ci ha tracciato e sul quale continua a guidarci.

 

Armand VEILLEUX

traduzione di Anna BOZZO

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Un altra omelia per la stessa domenica, nell'anno 2000: en français, in italiano, in English