20 luglio 2003 – XVI domenica "B"
Ger 23, 1-6; Ef 2, 13-18; Mc 6, 30-34

O M E L I A

            Nel Vangelo di domenica scorsa  Gesù aveva inviato i suoi discepoli a due a due: Aveva dato loro autorità sugli spiriti impuri, vale a dire il potere di guarire. Ma non aveva dato loro ordine di insegnare. Ricordiamo che ciò accadeva agli inizi della vita pubblica di Gesù, e che egli aveva appena cominciato a formare i suoi discepoli.  Questi tuttavia fecero molto più di quanto Gesù aveva chiesto loro di fare. Non solo insegnarono, ma guarirono, facendo delle unzioni di olio e imponendo le mani.  Questi simboli, che rinviavano alla regalità davidica, generarono evidentemente nel popolo la speranza di una restaurazione nazionale, con la venuta di un messia-re.

 

            Non sorprende dunque che, allorché i discepoli tornano e riferiscono tutto quanto hanno fatto e insegnato, ciò non susciti da parte di Gesù alcuna reazione di gioia né alcuna felicitazione. Essi hanno usurpato un ruolo che non appartiene a loro. Occorre ricordare infatti che, in tutto il Vangelo di Marco,  l’attività di insegnare è rigorosamente riservata a Gesù, il quale non la esercita  se non nei confronti dei Giudei.

 

            Poiché  i discepoli hanno risvegliato nel popolo la speranza in un messia nazionalista che li libererà dall’oppressore, non sorprende che la folla li segua. Sono loro che la folla cerca, e non Gesù. Gesù deve dunque distoglierli da questo falso successo e inizio ambiguo e ricondurli al deserto  per riprendere - o piuttosto per cominciare - la loro formazione. “Venite in disparte in un luogo deserto e riposatevi un po’ ”. Il verbo “Venite” è un’allusione alla loro prima vocazione (Venite, seguitemi) e l’invito al riposo è un’allusione a Isaia 14,3 (si veda specialmente il testo greco dei Settanta) in cui la parola “riposo” designa la liberazione dalla schiavitù di Babilonia. I discepoli hanno ancora bisogno di essere liberati  dalla loro visione, ormai superata, del Messia atteso.

 

            Quando, sull’altra riva, Gesù ritrova la stessa folla che corre appresso ai discepoli e al loro insegnamento, è preso da pietà, perché vede quella gente come pecore senza pastori. E allora si mette ad insegnare loro, ciò che lui solo può fare.

 

            Nel Popolo d’Israele la figura del capo come pastore si era imposta a partire dall’epoca di Davide, che da pastore era stato fatto re. Ma i peccati dei re (che consideravano il popolo come loro proprietà) e del popolo stesso, avevano condotto all’esilio.  Nella prima lettura che abbiamo ascoltato, Geremia annuncia che Dio libererà il suo popolo dall’esilio, e che non soltanto gli darà dei pastori secondo il suo cuore, ma che gli susciterà un discendente di Davide che sarà il vero pastore, che condurrà il popolo verso la sicurezza sulla sua terra e che sarà lui stesso “giustizia”.

 

            Forse dovremmo leggere alla luce di questo testo del Vangelo la situazione attuale della Chiesa in quelle parti del mondo in cui essa era in altri tempi forte e potente e dove ora è di nuovo ridotta a un “resto”. Forse i cristiani - compresi i loro pastori - hanno annunciato troppo se stessi ? Forse hanno annunciato troppo la Chiesa con la sua missione e i suoi privilegi, e non hanno annunciato abbastanza Cristo ? Forse hanno troppo attratto le folle a loro stessi, insegnando loro ciò di cui sentivano allora il bisogno ? Ed è forse per questo che ora noi conosciamo un deserto.  E’ forse Gesù che chiama tutta la sua Chiesa al deserto, per formarla o ri-formarla lui stesso.

 

            Nel frattempo, Gesù resta pieno di misericordia e di tenerezza per le folle senza pastori e le istruisce lui stesso in mille modi, parlando al cuore  di ogni persona di buona volontà. Mettiamoci tutti all’ascolto del suo insegnamento, ascoltando ciò che dice al cuore di ogni uomo e di ogni donna.

 

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omelia per la stessa domenica dell'anno 2000 : in francese  e in italiano sul sito.

Armand VEILLEUX