6 luglio 2003 – XIV domenica del Tempo Ordinario "B"

Ez 2, 2-5; 2Co 12, 7-10; Mc 6, 1-6

O M E L I A

            Nell’Antico Testamento leggiamo i racconti della vocazione di tre profeti : quella di Isaia (cap.6), quella di Geremia (cap. 1) e quella di Ezechiele, che abbiamo oggi come prima lettura . (Si potrebbe aggiungere forse quella di Amos: cap. 7,14-17).  Ora, a guardar bene, si tratta sempre di una vocazione al fallimento. Il profeta è inviato al popolo, ma viene già informato che il popolo non ascolterà.  E’ molto chiaro per Isaia, che deve dire al popolo :  « Ascoltate bene, ma senza comprendere; guardate bene, ma senza riconoscere… ». Similmente,  a Ezechiele viene detto, a proposito del popolo a cui è inviato : « ascoltino o non ascoltino, perché sono una genìa di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro ». Tutti questi grandi profeti furono rifiutati dal popolo.  Fu questo anche il destino di Gesù, come ci è raccontato nel Vangelo di oggi.

            Quando Gesù arriva a Nazareth (perché si suppone che si tratti ben di Nazareth, anche se Marco, senza dubbio intenzionalmente, non dice il nome della città), la sua fama l’ha preceduto. Non soltanto la sua fama di taumaturgo, ma la fama di personaggio pericoloso, che gli hanno già fatto i farisei e i capi del popolo, che hanno d’altronde già deciso di farlo perire (Mc 3,6). Si sa che insegna a nome proprio e non come gli scribi (Mc 1,22).  Si sa che non osserva le tradizioni, osando toccare un lebbroso e permettendo ai suoi discepoli di cogliere delle spighe e di frantumarle in giorno di sabato, e anche di operare una guarigione in tale giorno  (Mc 1,39-45; 2, 23-3,6); si sa che va a mangiare da persone poco rispettabili (Mc 2, 14-17), etc.  D'altronde, a causa di tutto ciò, la sua stessa famiglia aveva concluso che aveva perduto la testa, ed era venuta, anche con sua madre, per cercarlo e ricondurlo a  casa (Mc 3,21; 31-35).

            A  Nazareth come a Cafarnao (cfr. Mc 1, 22 et 27-28) non si può negare che parole di saggezza escano dalla sua bocca.  Non si possono negare neppure tutti i prodigi che ha già compiuto. Ma si esclude che ciò possa venire da Dio. Parlando di lui, non si pronuncia neppure il suo nome. « Da dove viene a quello lì  tutto questo ? », dicono. « Non è il figlio del carpentiere, ecc. ? ». Ma allora, che cosa è successo perché la folla reagisca così ? La gente ha rinunciato al suo proprio giudizio e si è lasciata condizionare dai mestatori del popolo. Non vi sono stati incontri da persona a persona tra loro e Gesù, ma l’incontro tra una folla manipolata e la falsa immagine di Gesù che di lui avevano diffuso i manipolatori. La stessa cosa si era prodotta per i profeti nell’Antico Testamento e non ha smesso di riprodursi dall’epoca di Gesù in poi.

            Gesù si stupisce della loro mancanza di fede. Questa brava gente, a cominciare dai farisei e dai capi del popolo, avevano senza dubbio una fede molto forte in Dio . Mancava loro la fede nell’uomo. Non potevano accettare che un essere umano come loro potesse essere portatore dello Spirito e messaggero di Dio. Era loro impossibile riconoscere colui che ama farsi chiamare il « Figlio dell’uomo ». Nella storia della Chiesa le eresie più perniciose non sono state quelle che negavano la divinità di Gesù, ma quelle che negavano la sua umanità.  Perché, quando non si riconosce l’umanità del Figlio di Dio,  si perde di vista la dignità dell’uomo tout court.  Da lì sono venuti tutti i crimini contro l’umanità – oggi si direbbe i crimini contro i diritti della persona umana – nel corso della storia.

            Come quella dei grandi profeti dell’Antico Testamento, la missione di Gesù era una missione al fallimento.  Il punto di arrivo è la croce, già sottilmente annunciata nel Vangelo di oggi. E’ proprio perché Egli si è fatto ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce, che il Padre lo ha esaltato e costituito Kurios, Signore e Salvatore.  E’ quanto ha appreso Paolo, che anch’egli (nella seconda lettura di questa messa) si glorifica delle sue debolezze, perché è in esse che  trova la sua forza.

            Quale lezione per la nostra epoca che sacrifica tante persone e valori umani al culto del successo !

Armand Veilleux