23 febbraio 2003 – VII  domenica "B"

Isaia, 43, 18-19. 21-22. 24c-25;  2 Cor. 1, 18-22;  Marco 2, 1-12

 

 

O M E L I A

 

 

            Quando Gesù si trova in Galilea, questa regione che Isaia chiamava già la « Galilea delle Nazioni » (Is. 7,23-9,1, citato in Mt 4,15), egli si trova alla frontiera della terra di Israele e spesso viene a confronto con coloro che gli Ebrei chiamano i « gentili » oppure i « pagani ». Il testo di Marco che leggiamo oggi descrive in un linguaggio simbolico questo incontro e tutte le tensioni che ne scaturiscono.

 

            Dopo la guarigione del lebbroso (Vangelo di domenica scorsa), Gesù percorreva luoghi deserti, dove la gente gli veniva incontro da ogni parte. Qualche giorno dopo torna a Cafarnao, e veniamo a sapere che è « a casa » (en oikô) – non  « nella casa » (è oikia) di Simon Pietro (dove prima aveva guarito la suocera di lui), né in casa sua (perché era di Nazareth),ma semplicemente « a casa ».  La casa di cui si parla qui è la casa di Israele.

 

            Questa casa è talmente chiusa su se stessa, che non solo non vi è più posto per nessun altro all’interno, ma non vi è più posto neppure davanti alla porta. Arriva allora questo paralitico, che rappresenta il mondo pagano, paralizzato dal suo peccato, cioè dalla sua non-conoscenza del vero Dio.  E’ trasportato da quattro uomini, che rappresentano simbolicamente i quattro punti cardinali, e dunque l’insieme della Nazioni. La porta della casa di Israele, che vuole tenere Gesù tutto per lei, è chiusa davanti a loro. Non ha importanza, essi spostano delle tegole, fanno un’apertura  nel tetto e calano il paralitico con la sua barella davanti a Gesù. Questi, commosso dalla « loro fede », dice al paralitico che gli sono perdonati i suoi peccati.

 

            Comincia allora una lunga controversia tra Gesù e gli Scribi, che ritroveremo lungo tutto il Vangelo di Marco, fino alla Croce. « Alcuni scribi erano seduti là e ragionavano dentro di sé » (la parola seduti , che è scomparsa nella traduzione francese del Lezionario liturgico, è invece  molto importante). Essi rappresentano la parte « assisa », insediata, della casa di Israele, chiusa al Profeta che si manifesta in seno ad essa, cosi’ come  resta chiusa a tutto quanto è esterno  al popolo di Israele.

 

            Una volta che l’incontro si realizza tra Gesù e il paralitico, malgrado tutti gli ostacoli – quelli dei suoi propri peccati e quelli frapposti dalla casa di Israele stessa -  Gesù lo guarisce. Tuttavia non lo invita ad entrare o a rimanere nella casa di Israele ; lo rimanda a casa sua : « prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua ».

 

            Vi è qui un messaggio potente, in grado di scuotere la Chiesa nel suo insieme e ciascuna delle nostre comunità ecclesiali. Noi siamo forse spesso cosi’ chiusi su noi stessi e su ciò che si vive all’interno delle nostre mura, da dimenticare che fuori ci sono le folle e che non possono entrare perché non lasciamo un varco davanti alla porta ? Sappiamo allora riconoscere l’azione di Dio  quando certe persone trovano il modo di entrare dalla finestra o dal tetto. E sappiamo soprattutto riconoscere il mistero della loro relazione con Dio, anche quando Dio li rimanda nella « loro dimora », da dove sono chiamati a testimoniare della grazia che hanno ricevuto. Anche quando non diventano abitanti della « nostra casa », sappiamo, come la gente di Cafarnao, esserne stupefatti e rendere gloria a Dio dicendo : « Non abbiamo mai visto nulla di simile ! »

 

Armand VEILLEUX