9 febbraio 2003 – V domenica "B"
Giobbe 7,1...7; 1 Co 9,16...23; Mc 1,29-39
Omelia
Nel Vangelo di Marco, Gesù,
subito dopo il suo Battesimo, i quaranta giorni passati nel deserto, e la
scelta dei suoi primi discepoli, ritorna in Galilea. Marco racconta poi un
rapido susseguirsi di eventi, che si sarebbe tentati di intitolare, usando
un’espressione moderna : « Una giornata nella vita di Gesù di Nazareth ».
Ventiquattr’ore ben spese. La mattina del sabato, Gesù insegna nella Sinagoga
di Cafarnao e vi guarisce un indemoniato (è il Vangelo di domenica scorsa).
Poi va a casa di Simone e Andrea, e guarisce la suocera di Simone. La stessa
sera gli portano molti malati da guarire. A notte inoltrata, va sulla montagna a pregare. I fratelli vengono a cercarlo, ma egli risponde loro che deve andare
nei villaggi vicini. E’ veramente molto, in ventiquattr’ore ! Cerchiamo
di recepire alcuni degli insegnamenti che Marco intende trasmettere, o piuttosto
quegli insegnamenti che Gesù rivolge ai suoi primi discepoli.
La suocera di Pietro soffriva
per la febbre, cio’ che allora si intendeva come una forma di possesso. Del
resto, la parola greca usata per designare la febbre ha la stessa radice della
parola « fuoco » e della parola « zelo ».Vi è qui
senza dubbio un’allusione allo zelo ardente del profeta Elia, il profeta del
fuoco (Sir. 48, 1-3.9; 1 Re 19,10.14), che fece perire di sua mano i 450 profeti
di Baal, e allo zelo dei discepoli di Gesù, che un giorno volevano far scendere
il fuoco dal cielo su coloro che non avevano ricevuto il suo messaggio. Gesù
vuole mostrare ai suoi discepoli che quella febbre, quella furia distruttrice
deve essere estranea a coloro che vogliono mettersi alla sua sequela. Questa
furia deve fare posto a uno spirito di servizio. E la suocera di Simone, una
volta guarita dalla sua febbre, in effetti si mette a servirli.
Sia nelle nostre relazioni
interpersonali, o in quelle tra le confessioni religiose o tra le nazioni,
ogni ardore nel condannare gli altri, nell’imporre loro i nostri punti di
vista, nel far piovere su di loro (moralmente o anche fisicamente) il fuoco
dal cielo, è in contrasto con il messaggio di Gesù. Ogni « attacco preventivo » contro l’altro, sia per ricondurlo
sulla retta via, sia per proteggere se stessi, è un crimine contro l’umanità, tale quale Gesù la concepisce.
Invece di questa "hybris" che, ai giorni nostri
come settanta anni fa, rischia di
far precipitare il mondo che si crede civilizzato in una violenza da incubo,
Gesù sceglie la via del servizio, dell’umiltà e della preghiera. Allorché
le sue prime prove alla sinagoga di Cafarnao erano state un gran successo,
egli lascia quel luogo pubblico per
recarsi nella casa privata di uno dei suoi discepoli. E quando le guarigioni che egli ha
operato in quella casa lo rendono ancora più popolare, lascia quel luogo per
rifugiarsi nella preghiera e nella solitudine, prima di partire per le umili
borgate della regione.
Paolo di Tarso, come Elia
parecchi secoli prima, era pronto ad uccidere in nome di Dio, fino al giorno
in cui una luce folgorante sulla via di Damasco lo libero’ da quella furia
omicida. E con questa libertà nuova egli scriverà diversi anni più tardi ai
Corinti : « libero nei confronti
di tutti, mi sono fatto il servitore di tutti, per guadagnarne il maggior
numero possibile » (seconda lettura di oggi). Come la suocera di Pietro,
egli puo’ mettersi a servire, una volta liberato dalla sua febbre.
Oggi celebriamo la giornata
mondiale dei malati. Preghiamo per tutti i malati, ma soprattutto per le vittime
dell’AIDS, cosi’ numerose specialmente in Africa, dove quasi tutte sono lasciate
senza medicine, mentre potrebbero essere soccorse in gran numero se si consacrasse
loro una piccolissima parte dei miliardi di dollari spesi per la guerra. Preghiamo
perché i capi delle nazioni, che si preparano a far piovere il fuoco e le
bombe su altre nazioni, incontrino, sulla loro via di Damasco, la stessa luce
che incontro’ Paolo, che li guarisca dalla loro febbre guerriera e li trasformi
in servitori dell’umanità.
Armand Veilleux