18 maggio 2003 -- V domenica di Pasqua  "B"

At 9, 26-31; 1 Gv 3, 18-24; Gv 15, 1...8

 

O M E L I A

 

            Io sono la vera vite “.  Abbiamo qui una di quelle numerose affermazioni in cui Gesù rivela la sua identità: Io sono l’acqua viva, la luce del mondo, il buon pastore, la porta delle pecore, la resurrezione e la vita, la via, la verità, ecc. Gli elementi a cui Egli si identifica sono quasi sempre elementi essenziali alla vita umana, e spesso vi è aggiunto un aggettivo che sottolinea la loro importanza:  l’acqua viva, il buon  pastore, per esempio.

 

            Qui Gesù si presenta come la vera vite. Per cogliere il senso di questo aggettivo, occorre ricordare che la verità nel pensiero ebraico  è strettamente legata all’idea di fedeltà e di costanza. Non bisogna dimenticare soprattutto che nell’Antico Testamento, e in particolare nei libri dei Profeti, il popolo di Israele è paragonato ad una vigna  (Osea 10,1; Ger 2,21; Ez 17, 1-10; Isaia 5,1-8,  ecc.).  Ma  il problema con questa vigna è che essa non è stata vera, non è stata fedele, e dunque non ha dato frutto al suo proprietario. E’ dunque in opposizione a quella vite là  che Gesù dichiara:  Io  sono la vera vite”.

 

            Un’altra categoria importante nel nostro testo è quella della permanenza. La parola “rimanere” ritorna costantemente,  (otto volte) come un leitmotiv.  Noi non possiamo portare frutti se non rimaniamo strettamente uniti a Gesù ; cioè soltanto se rimaniamo in lui e lui in noi. E la gloria del Padre di Gesù,  che è il vignaiolo, è che noi portiamo molti frutti. In effetti, noi non siamo chiamati ad essere i discepoli di Gesù e a formare la sua Chiesa semplicemente per la nostra perfezione individuale, bensì per portare dei frutti nel mondo al quale siamo inviati per essere i testimoni della salvezza portata da Gesù.

 

            Gesù estende ancora più oltre l’immagine della vite.  Per produrre  frutti non basta rimanere attaccati al ceppo.  Bisogna accettare di essere purificati, potati, accettare di essere spogliati di tutto ciò che è estraneo al Vangelo.

 

            Nella prima lettura abbiamo l’esempio di qualcuno che si è lasciato potare. Sulla via di Damasco Paolo è stato spogliato di tutto, e innestato sulla vera vite che è il Cristo, del quale poi sarebbe stato uno dei tralci più fecondi.

 

            Quanto alla seconda lettura, dell’Apostolo Giovanni, ci invita a non lasciarci scoraggiare quando abbiamo commesso delle infedeltà, quando ci sentiamo come tralci secchi e quando il nostro cuore ci accusa. Dio è più grande del nostro cuore e  conosce tutto. Il suo amore misericordioso può sempre riconnetterci con la vera vite e farci portare frutto in abbondanza – un frutto che non sarà mai esclusivamente nostro, ma  quello della vera vite di cui noi non siamo che dei tralci.

 

Armand VEILLEUX