27 aprile 2003 – II domenica di Pasqua, 2003

At 4, 32-35; 1 Gv 5, 1-6; Gv 20, 19-31

 

Omelia

 

I discepoli ,  cioè l’insieme  di coloro che erano rimasti fedeli a Gesù, si trovavano riuniti la sera di Pasqua. Il loro numero non viene precisato , ma non dovevano essere molti, poiché trovavano posto in una  casa di cui potevano tenere ben chiuse le porte.  Sono discepoli clandestini, perché è già notte, e come Giuseppe di Arimatea  (19, 38), hanno paura dei Giudei.  Hanno ricevuto la testimonianza di Maria Maddalena, che è venuta a dire loro da parte di Gesù : « Io salgo al Padre mio, che è anche Padre vostro, verso il mio Dio, che è il vostro Dio ». Ma questo non è bastato a scioglierli dalla loro paura e a ridare loro la pace.

 

La paura li ha paralizzati. Non hanno il coraggio di parlare in  pubblico. Non osano prendere le parti del loro maestro accusato ingiustamente. Una situazione simile l’aveva conosciuta il popolo di Israele  in Egitto, accettando per paura la propria condizione di schiavo.  Ai nostri giorni conosciamo una condizione simile, quando la paura della comunità internazionale permette ad una cultura di impunità di instaurarsi nelle relazioni tra i popoli, dove i più forti opprimono impunemente i più deboli, spesso nel disprezzo di tutte le regole del diritto.

 

Quando Gesù si manifesta in mezzo ai discepoli riuniti, dice loro innanzitutto : « La pace sia con voi ».  Soltanto dopo aver ricevuto e assunto questa pace saranno liberati dalla loro paura, e più tardi avranno il coraggio di dire ai Giudei : « Dio lo ha fatto Signore e Cristo, quel Gesù che voi, proprio voi, avete crocifisso »  (Atti 2,36) ;

 

Poi Gesù soffia su di loro. Il verbo utilizzato da Giovanni è lo stesso che ritroviamo in Genesi 2,7, dove si racconta che Dio soffio’ il suo proprio spirito nelle narici del primo uomo per farne un essere vivente.. Si tratta di una nuova creazione. Gesù ri-crea i suoi discepoli ad una vita nuova.

 

Le parole « ricevete lo Spirito Santo.  Ogni uomo a cui voi rimetterete i peccati, gli saranno rimessi ; e colui a cui voi li non li rimetterete,  resteranno non rimessi », sono rivolte all’insieme dei discepoli presenti. E’ il richiamo a liberarsi reciprocamente perdonandosi a vicenda.

 

Per l’Evangelista Giovanni questa dimensione comunitaria è capitale, ma presuppone prima di tutto un percorso personale di fede. Non si dà comunità autentica, senza un’esperienza personale di fede da parte di ciascuno dei membri. Cosi’ Giovanni introduce  qui l’esempio del percorso personale di Tommaso – Tommaso che non è semplicemente l’incredulo di un momento, ma anche e prima di tutto il credente per eccellenza, essendo stato il più coraggioso dei discepoli. In effetti, quando Gesù, sulla soglia della morte, aveva deciso di salire in Giudea per vedere il suo amico Lazzaro, e gli altri discepoli volevano dissuderlo, perché i Giudei volevano impadronirsi di lui, Tommaso dice ai suoi compagni : « Andiamo anche noi a morire con lui » (Giov. 11, 8 e seguenti).

 

 Quando Gesù mostro’ le sue mani e il suo costato al gruppo di discepoli riuniti, questi, dice il Vangelo, furono « pieni di gioia nel vedere il Signore », e quando Tommaso, .che era assente, ritorna, essi gli dicono : « Abbiamo visto il Signore » . Erano tutti felici di aver ritrovato Gesù, che credevano di avere perduto. Ma quando Tommaso vede il costato e le mani di Gesù, è il primo a fare atto di fede nella divinità del Cristo risorto : « Mio Signore e mio Dio ». Di tutti i Vangeli, è questa la confessione più esplicita nella divinità di Gesù.

 

Questa fede sarà comunicativa e trasformerà il gruppo di discepoli impauriti in una comunità di credenti, non avendo che un cuore e un’anima sola, e testimoniando la loro fede in maniera  molto concreta, come ci descrive il passo degli Atti degli Apostoli  che abbiamo come prima lettura nella Messa di oggi. Questa esperienza è stata comunicata attraverso i secoli ed è arrivata fino a noi. E’ di tutti noi che parla Gesù quando dice : « Beati coloro che non avendo visto crederanno ».

 

Armand VEILLEUX