23 marzo 2003 – III domenica di Quaresima "B"
Esodo 20, 1-17; 1Cor 1, 22-25; Gv 2, 13-25

 

O M E L I A

           

            Quando Gesù  scaccia i venditori dal Tempio, con  pecore e buoi, gettando per terra la moneta dei cambiavalute e rovesciando i loro banchi, i discepoli si ricordano della parola della Scrittura : « Lo zelo della tua casa mi divora » (Sal 69,10, greco).  Interpretano l’azione di Gesù alla luce dello zelo di Elia (1 Re 19,10.14.15-18; 2 Re 10,1-28; Mal 3, 1ss; Eccl. 48,1-11).  Vedono in Gesù il Messia, che viene a consolidare le istituzioni religiose di Israele con la forza e la violenza. Non hanno capito niente – neppure ciò che Elia stesso aveva appreso nella sua esperienza mistica sul monte Oreb : che Dio non è presente in ciò che è violento (uragano, terremoto, fuoco ecc.), ma in ciò che è dolce e pacato, la brezza leggera. (Verità di cui far tesoro nel momento in cui una pioggia di fuoco si abbatte su Baghdad).

 

            Dicendo « non fate della casa di mio Padre un luogo di mercato », Gesù si colloca su un altro terreno. Questa « Pasqua degli Ebrei », come la chiama l’evangelista Giovanni,  non senza una nota peggiorativa, è tutt’altra cosa dalla « Pasqua del Signore » (come in Es 12,11.48; Lev. 23,4; Numeri 9,10.14; Deut. 16,1), e il Tempio in cui si svolge questa Pasqua degli Ebrei  non è più la casa di Dio.  Chiamando Dio « mio  Padre », Gesù indica che la relazione tra Dio e il popolo non può più essere formulata in termini di sacrificio cruento e quindi di violenza, ma in termini di amore paterno e filiale.

 

            Per comprendere l’atteggiamento fermo e senza compromessi, in apparenza violento, di Gesù, occorre ricollocare il decalogo, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, nel suo vero contesto. Disgraziatamente, abbiamo appreso i « dieci comandamenti » come una serie di precetti morali da osservare, sotto pena di peccato. Questi precetti furono in realtà promulgati nel ricordo doloroso della schiavitù d’Egitto e nella speranza di stabilire una società diversa, senza schiavitù né oppressione, dove l’uguaglianza di tutti davanti a Dio sarebbe rispettata nelle relazioni interpersonali. Se i primi tre comandamenti parlano della relazione con Dio, gli altri sette parlano delle relazioni tra persone in seno alla comunità.

 

            All’epoca di Gesù, nell’universo religioso di Israele, si constatava la dominazione e lo sfruttamento del popolo dei poveri da parte della classe dominante. In particolare la « Pasqua degli Ebrei » era l’occasione per sfruttare i poveri,  che dovevano fornire quanto dovuto al Tempio. Per questo Gesù rivolse i suoi rimproveri,  soprattutto ai venditori di colombe, che erano coloro che sfruttavano i più poveri, che non potevano  comprare altro.

 

            La collera di Gesù è diretta contro ogni utilizzazione del sentimento religioso per sfruttare i piccoli e i poveri.  Ogni appellarsi a Dio – che sia  chiamato Allah o il Dio dei Cristiani – per giustificare la violenza e la guerra è un crimine contro l’umanità, l’umanità dei piccoli, che ne sono sempre le prime vittime, e l’umanità di Colui che ha scelto di farsi uno di noi.