19 agosto 2001 – Capitolo alla Comunità di Scourmont

 

 

Il monaco può ricevere lettere o regali ?  (RB 54)

 

            Benedetto ha già parlato, ai capitoli 33 e 34 della sua Regola, dell’importanza per il monaco di non possedere alcunché in proprio, e di ricevere tutto il necessario dalla comunità. Ritorna sull’argomento al capitolo 54, applicando lo stesso principio ai piccoli regali che ci si scambia facilmente tra parenti e amici. “Non sia permesso assolutamente al monaco, senza l’autorizzazione dell’Abate, accettare lettere, regali o altri piccoli doni né dai suoi parenti né da chiunque, nemmeno da un confratello, e neppure darne a sua volta.” A prima vista una tale disposizione ci sembra dura e opposta al senso dell’humanitas, per altro così caratteristico in Benedetto.

 

            Il senso profondo di una simile raccomandazione è da ricercare nei numeri 10, 20 e 21 del capitolo sugli strumenti delle buone opere: “Rinunziare a se stesso per seguire Cristo” e “farsi estraneo ai costumi del mondo  al fine di “nulla anteporre all’amore di Cristo”.

 

            Su questo punto Benedetto dipende dalla grande tradizione cenobitica che risale a Pacomio e che si trova esposta nel “Testamento” di Orsiesi, che mette particolarmente in guardia i superiori e i diversi ufficianti del monastero contro la tentazione di trarre partito dal loro servizio per procurarsi vantaggi personali. Orsiesi scrive (Lib.Ors. 22) « Quando un servizio o l’amministrazione del monastero è affidata a qualcuno, ed egli ne trae un profitto personale, consideri egli un furto o un sacrilegio il fatto di mettere la mano su un oggetto qualunque che appartiene alla collettività, per farlo servire alla sua soddisfazione personale, come se egli disprezzasse coloro che non possiedono nulla e sono ricchi della loro beata povertà”.

 

            Perché questa insistenza di Benedetto (e di tutta la Tradizione) sul fatto che il monaco non deve ricevere nulla dai suoi parenti e amici?  Vi è innanzitutto il fatto che, se si è rinunciato alla proprietà privata per  possedere tutto in comune, a immagine della comunità primitiva di Gerusalemme, bisogna essere conseguenti con la propria scelta e non reintrodurre proprietà privata, per quanto minima sia. Vi è il fatto soprattutto che una tale pratica di ricevere regali dai parenti rischia di introdurre in comunità delle disuguaglianze importanti, quando alcuni hanno una famiglia agiata e altri una famiglia povera. Ma la ragione principale è quella di assicurare un autentico distacco del cuore. Cassiano ha descritto con senso dell’humour come certi  monaci, dopo aver rinunciato senza difficoltà ad una fortuna personale, fatta di terre, servitori e schiavi, si attaccano ad un piccolo oggetto, come una matita, senza dubbio a causa del suo valore affettivo. Si sono spogliati di grandi beni, ma il loro cuore non è distaccato.

 

            Benedetto prevede che se i parenti di un monaco gli mandano qualcosa, si può accettare questo regalo, ma  esso non andrà necessariamente a colui a colui al quale è stato destinato. E’ crudeltà o mancanza di sentimento? Si può pensare che si tratta, al contrario, di una maniera di far comprendere alla famiglia che il loro figlio fa ormai parte di un’altra grande famiglia, e che, dando il loro figlio al monastero, essi stessi hanno acquisito una nuova famiglia. Tutti i membri della comunità sono loro figli o loro fratelli.  Pacomio prevedeva, con un bel tocco di umanità, che, se i parenti di un monaco gli portavano dei dolci, questo monaco poteva gustarne un po’ con loro sulla porta del monastero, come segno di attenzione nei loro confronti, ma che il resto veniva mandato in infermeria per essere dato ai malati.

 

            Benedetto non insiste soltanto sul fatto che non si debba ricevere regali senza permesso, ma che non si debba neppure farne. Dare è un modo sottile di esercitare la proprietà privata. Scambiarsi piccoli regali tra membri della stessa comunità può certo essere un gesto di carità e di affetto fraterno, ma può essere anche, e forse ancora di più, un gesto da proprietario e un esercizio di potere. Così come del resto il bisogno di di avere un certo numero di persone all’esterno da aiutare “personalmente”.

 

            Le condizioni di vita e di lavoro sono ben cambiate dal tempo di benedetto (Oggi si direbbe: “Il monaco può ricevere delle e-mails?). I fratelli che hanno dei compiti in comunità hanno spesso a loro disposizione degli strumenti di lavoro costosi, che non possono essere condivisi tra più persone senza deteriorarsi rapidamente. Lo scambio di lettere – ivi comprese quelle elettroniche – è diventato una cosa molto più comune nella società, sia per ragioni di carità e di attenzione nei confronti della famiglia e degli amici, sia per ragioni pratiche. Ciò che non è cambiato è l’importanza, per il monaco che vuole vivere secondo l’ispirazione delle Beatitudini (Beati i poveri…) e della Comunità primitiva di Gerusalemme,  come pure secondo l’ispirazione della Regola di Benedetto, di fare attenzione a conservare un cuore distaccato.  Altrettanto importante che ai tempi di Benedetto è ancora il fatto di assicurarsi che le modalità stesse della vita comunitaria ne facciano un segno visibile di comunione e di amore fraterno.

 

            In un mondo in cui, dovunque e in tutti i continenti, sembrano sempre più approfondirsi i solchi tra paesi ricchi e paesi poveri, come pure tra poveri e ricchi all’interno di ogni paese – ivi compresi i paesi più poveri – è tanto più necessaria la testimonianza di autentiche comunità cristiane in cui tutto è in comune, in cui il necessario è fornito a tutti secondo i bisogni di ciascuno, e dove nessuno è privilegiato per qualsivoglia ragione.

 

Armand VEILLEUX

 

(traduzione italiana di Anna Bozzo)