Site du Père Abbé
Armand Veilleux

22 ottobre 2000 - Capitolo alla Comunità di Scourmont


La tradizione monastica dell'Opus Dei (RB 12-17)

I Capitoli della Regola si san Benedetto sulla struttura dell’Ufficio Divino non sono necessariamente quelli che si prestano meglio a un commento spirituale. Abbiamo già visto quelli che si riferiscono alle Vigilie notturne. Nei capitoli successivi (12  e 13) Benedetto parla del modo di celebrare le Lodi. Ritornerà in seguito sulle Vigilie nei giorni delle feste dei Santi, poi parlerà degli Uffici diurni, dopo un breve capitolo sull’uso dell’Alleluia.

La preghiera comune delle ore principali al tempo di Benedetto era a tal punto considerata come una pratica cristiana essenziale che Benedetto non si attarda a elaborarne una teologia o una spiritualità. Si accontenta di precisarne la struttura, adattata alle sue comunità, ma così facendo esprime comunque la sua comprensione dell’Opus Dei attraverso piccole annotazioni che a una prima lettura sembrano senza importanza.

I due uffici principali della giornata sono evidentemente le Lodi e i Vespri, che hanno una struttura simile.  La celebrazione di Lodi, al sorgere del giorno, possiede un carattere nettamente festivo, anche durante la settimana. Si tratta di celebrare il trionfo della luce sulle tenebre, l’ora della resurrezione del Signore. Mentre per le Vigilie vi era una lettura, più o meno seguita da salmi, i salmi delle Lodi sono scelti con cura tra quelli più adatti a questa celebrazione della luce e della resurrezione. Sono salmi di lode. Benedetto vi aggiunge un inno (un “ambrosiano”), un cantico dell’Antico Testamento e il Cantico di Zaccaria. Gli storici dell’Ufficio ci dicono che Benedetto segue qui in molti punti, adattandola, la struttura allora nuova dell’Ufficio romano. In questo rivela, come in molti altri punti, un senso della tradizione unito a uno spirito creativo.

Gli ultimi versetti del cap. 13 comportano un passaggio sul quale conviene fermarsi un po’. Sono i versetti in cui Benedetto domanda che l’orazione domenicale, il Pater, sia detta integralmente dal superiore alla fine delle Lodi e dei Vespri. Perché? Perché, dice lui,  le “spine della discordia sono solite spuntare” in comunità. Per Benedetto è importante non separare la Preghiera dalla vita. L’espressione “sono solite spuntare” non esprime evidentemente un idealismo pseudo-angelico; ma neppure scoraggiamento.  Si tratta semplicemente di realismo. Non sarebbe normale che un gruppo di uomini o di donne, aventi ciascuno il suo carattere proprio, possano vivere insieme in modo permanente, senza che sentano il bisogno di domandare perdono o di perdonare.

Poiché per il momento siamo interessati a una serie di brevi riflessioni sulla Regola di san Benedetto, nel contesto della nostra vita di oggi, non starò a commentare nei dettagli i capitoli seguenti, in cui Benedetto descrive le ore del giorno e organizza la distribuzione del salterio nel corso di una settimana. Ci accontenteremo di qualche riflessione generale prima di affrontare, la prossima volta, i capitoli più importanti sull’atteggiamento da tenere durante l’Ufficio Divino.

Dalle prime generazioni cristiane fino al tempo di Benedetto, la struttura della preghiera comune nelle chiese domestiche, poi nelle chiese cattedrali come nei monasteri, ha avuto una evoluzione costante, adattandosi alle diverse circostanze. Il capitolo 16, che elenca gli Uffici delle Ore facendo riferimento al versetto del salmo 118 (v.164) “Sette volte al giorno ho detto la tua lode” ha tutte le caratteristiche di una aggiunta tardiva e comporta perfino una nota polemica o almeno apologetica, che si spiega con il fatto che allora era stato introdotto di recente l’Ufficio di Prima. Non vi è dunque da meravigliarsi se la soppressione di questo Ufficio al tempo del Vaticano II abbia anche dato origine da qualche parte a qualche leggero moto di scontento.

Se Benedetto si sofferma lungamente a suddividere i salmi tra tutte le Ore della settimana, è ben consapevole che in questo campo non vi sono verità assolute e che la sua proposta nemmeno a suo tempo era accolta all’unanimità, poiché termina con queste parole: “Noi diamo espressamente la seguente avvertenza: se questa distribuzione dei salmi a qualcuno non piace, che ne trovi un’altra migliore”. Insiste tuttavia per considerare che la recitazione di tutto il salterio ogni settimana gli sembra il minimo, a cui non bisognerebbe mancare. Oggi abbiamo ritrovato la libertà prevista da Benedetto e le regole abbastanza flessibili che abbiamo in questo campo dal Concilio Vaticano II in poi, permettono ad ogni comunità di trovare non solo la ripartizione dei salmi ma anche la struttura dell’Ufficio delle Ore che meglio corrisponda all’esperienza spirituale sua propria e alla sua situazione particolare – tenendo conto non solo delle caratteristiche culturali, ma anche della dimensione della comunità.

I salmi hanno sempre costituito la parte essenziale della preghiera comune, almeno in Occidente. La ragione è perché essi rappresentano un tesoro immenso di adorazione, di lode, di azione di grazie. Vi si trovano anche gli atteggiamenti che un credente può avere davanti a Dio, sia nei tempi di prova e di persecuzione, sia nei momenti di grande gioia. Essi sono anche una eccellente Lectio divina che ci mette a contatto con diversi secoli di esperienza spirituale e di relazione tra Dio e parecchie generazioni di grandi oranti, e anche con la preghiera di tutto un popolo. Per questo Benedetto considera il salterio come l’alimento essenziale della preghiera del monaco, e non vuole che sia abbreviato in nessuna circostanza, mentre invece permette che, per esempio quando le notti sono brevi, si riducano o si sopprimano letture e responsori.

Gli storici dell’Ufficio Divino hanno dimostrato come Benedetto, nella sua organizzazione dell’Opus Dei tragga molti elementi dall’Ufficio delle basiliche romane del suo tempo. Nulla di straordinario in questo, poiché l’Ufficio Divino non è il proprio dei monaci, bensì appartiene a tutto il popolo di Dio. All’epoca delle riforme post-conciliari (cioè dopo il Vaticano II),  era curioso vedere come dei preti secolari e certe comunità attive volevano abbandonare la recitazione dell’Ufficio Divino, come se fosse una pratica monastica non corrispondente alla loro vocazione, mentre in realtà si tratta di una tradizione propria all’insieme del popolo di Dio, che i  monaci hanno conservato.

Ma è anche vero che, purtroppo, ad una certa epoca, i monaci hanno cominciato a considerare che era quello un “compito” che era loro proprio, e che essi erano “deputati” per celebrare l’Ufficio Divino in nome di tutta la Chiesa. Fortunatamente la Costituzione Apostolica del Vaticano II sulla Liturgia (II,59), invitando le comunità a celebrare in comune le principali ore dell’Ufficio, dichiara esplicitamente che questo invito è fatto non solo al Clero e ai religiosi, ma anche ai laici. Del resto la nozione di “delega” in questo campo non ha gran senso. Si può e si deve sempre pregare per tutti; ma nessuno può pregare a nome degli altri, come se potessero esistere degli oranti ufficiali che si dedicherebbero a questo compito, mentre gli altri ne sarebbero dispensati  per occuparsi di altro. Nel momento in cui si comincia a parlare di obbligo di certi gruppi di fedeli a celebrare l’Ufficio, si è perduto di vista il senso fondamentale di quest’ultimo. Bisognerebbe parlare di qualcosa di connaturale piuttosto che di obbligo. E’ un obbligo per un credente pregare, ed è un obbligo per una comunità cristiana pregare in comune, nello stesso senso in cui è un obbligo per un essere vivente respirare.

Gli antichi monaci non avevano una “mistica liturgica”. Avevano, come ho avuto spesso occasione di ripetere, la preoccupazione di mantenere, nella misura del possibile, una preghiera continua  nella loro vita. Deve essere questa, per i monaci, non solo una preoccupazione individuale di ciascuno di loro, ma una preoccupazione comunitaria, dal momento in cui formano una comunità. È per questo che la giornata della comunità è ritmata da momenti di preghiera comune destinati a esprimere comunitariamente questa preghiera continua, come pure a nutrirla e a sostenerla.

Se questi capitoli sulla struttura della preghiera comune sono piuttosto asciutti e sbrigativi, Benedetto ritroverà il suo slancio spirituale nei due capitoli seguenti sull’atteggiamento da tenere durante la preghiera.

Armand VEILLEUX

(traduzione di Anna Bozzo)