Capitolo alla Comunità di Scourmont
3 settembre 2000
L'Ufficio delle Vigilie secondo Benedetto,
seguito (RB 9,10,11)
La settimana scorsa abbiamo studiato il primo dei capitoli che Benedetto dedica all’Opus Dei, e abbiamo visto quanta importanza egli attribuisce al ritmo delle stagioni nella celebrazione delle Vigilie. Oggi vedremo rapidamente i tre capitoli successivi (9.10.11) concernenti il contenuto dell’Ufficio delle Vigilie, sia d’inverno che d’estate, sia la domenica, nell’una e nell’altra stagione.
Ma diciamo prima di tutto una parola sull’espressione
“opus Dei”. Nella letteratura monastica antica, l’espressione opus
Dei significava, come è noto, l’insieme della vita del monaco, e non
un’attività particolare. Nel Nuovo Testamento, San Giovanni parla di “fare la
verità” e san Giacomo ci dice che la fede senza le opere è una fede morta. La
fede del Cristiano è dunque necessariamente una fede “attiva”, una fede che si esprime attraverso le
attività della vita. Essa è un lavoro, un’opera. Così è pure la vita del
monaco.Siccome il monaco vuole vivere
solo per Dio (è questo il senso del suo nome), tutta la sua vita è una attività
per Dio, l’opera di Dio, l’opus Dei. In Benedetto questa espressione ha
ormai preso un senso molto più limitato. L’opus Dei per eccellenza è la
preghiera comune; e gradualmente il nome le viene riservato.
L’Ufficio delle Vigilie, tale quale è descritto nei
capitoli che ora studiamo, riceve fin dall’inizio un carattere di lode.Non si
tratta più, come nel monachesimo del deserto, soltanto di una notte passata a
vegliare, o di un esercizio ascetico. Si tratta di una preghiera di lode. Il
tono lo dà subito il versetto iniziale “Domine labia mea aperies et os meum
annuntiabit laudem tuam" che si ripete tre volte. Benedetto sa bene
che la maggior parte delle persone si risveglia soltanto progressivamente. E’
senza dubbio epr questa ragione che egli prevede un’entrata progressiva e un
po’ lenta in questo ufficio. Dopo questo versetto c’è l’invitatorio, con il
salmo 94, poi l’inno (ambrosianum) , prima che cominci la serie dei
dodici salmi.
La tradizione monastica dei “dodici salmi” è molto
interessante e anche assai complessa. Gli anacoreti o semi-anacoreti del Basso
Egitto avevano l’abitudine di assegnarsi un quantum di “preghiere” da recitare nel corso della
giornata e della notte. Era il loro
modo di praticare la preghiera continua o di darle un ritmo. Assai presto
prevalse, nei deserti di Nitria e Scete, un numero, che fu il numero dodici:
niente di più naturale, in realtà, che pregare a ciascuna delle ore del giorno
e della notte. Queste preghiere che senza dubbio erano state all’origine molto
spontanee, in seguito assunsero una forma più stabile, e furono accompagnate da
un ugual numero di salmi.
A poco a poco queste ventiquattro preghiere furono
raggruppate in due serie di dodici, recitate l’una al mattino, l’altra alla
sera, sia individualmente che in comune con altri fratelli. Così pure, in certi
ambienti monastici, una forma
particolare veniva data alle due preghiere del mattino e della sera, divenute
tradizionali attraverso tutta la cristianità.
Sulla base di questa pratica che il monaco Cassiano
aveva vissuto nel Basso Egitto e isprirandolsi alla Regola dell’Angelo (che
Palladio collega artificialmente al monachesimo pacomiano), lo stesso Cassiano
compose il Libro II delle sue Istituzioni, dove egli descrive le sinassi
del mattino e della sera…E questa tradizione noi la ritroviamo, dopo una
evoluzione abbastanza lunga, nella descrizione delle Vigilie in Benedetto.
All’epoca di Benedetto, ogni salmo era seguito da una orazione salmica.
Benedetto non menziona questa pratica, ma la considera acquisita.
Benedetto prevede che il primo blocco di sei salmi
sia seguito da tre letture che possono essere tratte sia dalla scrittura, sia
dai Padri, e da tre responsori. Il secondo blocco di sei salmi è seguito da una
breve lettura dell’Apostolo.
Durante l’estate, quando la notte è più corta, la
struttura dell’Ufficio resta la stessa, ma le tre letture con i loro responsori
sono sostituite da una sola lettura recitata a memoria.
Le domeniche, sia d’inverno che d’estate, ci si alza
prima e l’Ufficio è più elaborato. Vi sono tre notturni, invece di due, e
quattro letture ad ogni notturno.
In questi capitoli ritroviamo costantemente la preoccupazione di adattare i ritmi della comunità a quelli della natura. D’inverno, quando le notti sono lunghe e i lavori della giornata meno intensi, si può consacrare più tempo alle veglie notturne e particolarmente alle letture. Bisogna dire che all’epoca di Benedetto, le letture fatte durante l’Ufficio costituivano l’essenziale della Lectio divina del monaco. Durante l’estate, del resto, quando da un lato le notti sono più corte, e dall’altro l’attività della giornata è più intensa, soprattutto se si lavora nei campi, le letture sono molto limitate. Quanto alla domenica, poiché le attività sono ridotte al minimo, ci si può permettere di alzarsi più presto e di consacrare un tempo considerevole alla lectio, con 12 letture e altrettanti responsori, più qualche cantico.
Ciò che viene chiamato il “terzo notturno” della domenica non è di fatto che una trasformazione – non proprio felice del resto – di una tradizione molto più antica, che si trova a Gerusalemme fin dai primi secoli: la tradizione dell’Ufficio della Resurrezione, celebrato la domenica mattina tra le Vigilie e le Lodi. Nel contesto della riforma post-conciliare della liturgia, la maggior parte delle comunità monastiche hanno sostituito a questo notturno un vero e proprio “Ufficio della Resurrezione”, che concorra in grande misura a dare alla domenica un carattere proprio.
Ai nostri giorni, dove tutto è regolato da orologi molto precisi, e dove ben pochi tra noi lavorano nei campi o anche negli orti, c’è sempre il pericolo di avere un ritmo uniforme di attività tutti i giorni della settimana, compresa la domenica, e tutto l’anno. Questo ci conduce quasi necessariamente ad una certa routine che è paralizzante. Se è importante avere una certa disciplina di vita che esige che si preghi, si legga o si studi a delle ore prestabilite, per non lasciare queste cose al caso dei nostri capricci, è anche bene modificare questi ritmi secondo i periodi e le stagioni. Questo introduce una musica, una danza, una poesia nella nostra vita.
Armand VEILLEUX