19 marzo 2000

Capitolo alla Comunità di Scourmont

 

Silenzio monastico (cf. RB6)

Il nº 24 delle Costituzioni del nostro Ordine costituisce un buon commento del breve capitolo della Regola di san Benedetto sul silenzio (RB 6). La prima frase di questa costituzione recita:  “il silenzio è uno dei principali valori della vita monastica”.  Che il silenzio sia una delle caratteristiche del nostro Ordine, lo sappiamo fin troppo bene. Per parecchi di noi è perfino un po’ irritante che sia questa la caratteristica più conosciuta.  Non ci designano forse come “i monaci che non parlano?” E ancora oggi molti pensano che i Trappisti abbiano fatto “voto di silenzio”.  Ci piacerebbe essere conosciuti per qualche aspetto più importante, più essenziale della nostra vita, che non per una osservanza, per quanto importante possa essere…

 

C. 24               Osservare il silenzio

Nell'Ordine, il silenzio è una dei principali valori della vita monastica. Il silenzio assicura la solitudine del monaco nella comunità. Favorisce la memoria di Dio e la comunione fraterna; apre alle ispirazioni dello Spirito Santo, allena alla vigilanza del cuore e alla preghiera solitaria davanti a Dio. Per questo in ogni tempo, ma soprattutto nelle ore notturne, i fratelli si applicano al silenzio, guardiano della parola e nello stesso tempo dei pensieri.

 

La cost. 24 comincia dunque dicendo che, nel nostro Ordine, il silenzio è uno dei principali valori monastici – uno tra gli altri. Un “valore” è una realtà che può essere “valutata”, che ha un prezzo, con la quale si possono ottenere altre cose. Ma il silenzio non è un valore in astratto. E’ un “valore monastico”, dice il nostro testo. Dunque, è una realtà che ha un prezzo, che ha peso, o che può essere utile per il monaco.

Non si tratta di un valore assoluto. Fa parte di un insieme di valori con cui è in relazione; e l’equilibrio di tutti gli elementi di questo insieme costituisce la caratteristica del nostro Ordine. (In effetti, i “valori monastici” sono all’incirca gli stessi in tutti gli Ordini e Congregazioni. Ciò che è proprio ad ogni Ordine, ad ogni “spiritualità monastica”, è un equilibrio particolare tra questi diversi valori, all’interno di un “sistema di valori”).

Perché il silenzio ha tutto questo valore?  Il breve testo della nostra costituzione dà cinque ragioni che si potrebbero definire “teologiche”:

-         il silenzio assicura la solitudine del monaco in comunità.

-         Favorisce la memoria di Dio.

-         Apre alle ispirazioni dello Spirito Santo.

-         Allena alla vigilanza del cuore e alla preghiera solitaria davanti a Dio.

-         È guardiano delle parole  dei pensieri.

Ecco dunque alcune delle ragioni per cui il silenzio ai nostri occhi ha un valore. Riprendiamole ad una ad una:

1) - il silenzio assicura la solitudine del monaco in comunità. Ci troviamo qui in presenza di due valori importanti: la solitudine e la comunità. Già nella cost. n.5 era detto che i fratelli, “radunati dalla chiamata divina, costituiscono una chiesa o comunità monastica, che è la cellula fondamentale  dell’Ordine Cistercense.  Il nostro Ordine è essenzialmente cenobitico. Noi siamo dei “cenobiti che vivono in solitudine” e non degli “eremiti che vivono in comunità”. Una comunità cistercense non è semplicemente un gruppo di persone riunite per un comune compito. Sono persone riunite “dalla chiamata di Dio” (voce divina); e a causa di ciò formano una “chiesa”, cioè una comunione di persone che esprimono visibilmente – sacramentalmente – nella loro vita comune la comunione con Dio. Siamo al cuore della dimensione contemplativa della nostra vita. E’ quanto diceva la cost. 3: “i monaci cistercensi cercano Dio e camminano alla sequela di Cristo sotto una Regola e un abate, in una comunità stabile, scuola di carità fraterna”.

E’ facile capire che questi due valori di “comunità” e di “solitudine” sono messi insieme come due poli complementari, tra i quali conviene conservare una certa tensione. Ma qui si dice qualcosa di più. Si dice che il silenzio “assicura al monaco la solitudine nella comunità”. Ciascuno dei due elementi diviene una parte dell’altro. Vi è una  “comunione nella solitudine”, di modo che la solitudine non è semplicemente un “solo a solo con Dio”; ma è la solitudine stessa che è comunitaria, e la vita comunitaria è solitaria.

2) Passiamo all’altra ragione: il silenzio favorisce il ricordo di Dio e la comunione fraterna.Il fatto che la realtà della “comunione”, sia menzionata di nuovo indica che qui si è voluto non soltanto giustapporre la memoria di Dio (memoria Dei) e la comunione fraterna, ma anche sottolineare il legame che esiste tra queste due realtà. Sono le due facce di una stessa realtà. Le nostre Costituzioni hanno già parlato della “memoria Dei” al numero 20, come di un prolungamento lungo tutta la giornata dell’Opus Dei (o preghiera comunitaria). Dell’Opus Dei si diceva che era celebrato in comunità e che era un esercizio della funzione sacerdotale del Cristo, che offre a suo Padre un sacrificio di lode e intercede per il mondo intero. E l’Opus Dei non è che una delle forme di celebrazione liturgica, nella quale, come dice la cost. 17, si manifesta particolarmente il fine spirituale della comunità… Noi abbiamo dunque qui una grande costruzione teologica: scopo della vita monastica è di arrivare all’unione con Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo e attraverso la conversione continua. Questo fine si esprime e si realizza nella liturgia e particolarmente nell’Ufficio Divino. Questa unione al Cristo si prolunga durante tutta la giornata attraverso la memoria Dei, il ricordo costante di Dio, o l’attenzione costante alla preghiera.

Ora, in una frase molto densa, si dice che il silenzio favorisce questa memoria Dei e la comunione tra i fratelli. Questo vuol dire che più noi siamo uniti a Dio, più siamo uniti ai nostri fratelli, e viceversa, e che una cosa non è possibile senza l’altra. Il silenzio che è vuoto, che è semplicemente assenza di parole, può facilmente distruggere la comunione; ma un silenzio che è presenza, attenzione, fa crescere questa comunione – con Dio come con i fratelli.

3) Il silenzio apre alle ispirazioni dello Spirito Santo. Se fate attenzione, vedrete che ciascuna delle affermazioni sul silenzio in questa costituzione, corrisponde a uno dei numeri precedenti delle Costituzioni, e nello stesso ordine: memoria Dei (cost.20) – una vigilanza del cuore (de intentione cordis) (Cost. 22) – l’apertura alle ispirazioni dello Spirito Santo corrisponde alla cost. 21 sulla lectio divina, dove era già detto che la lectio è fonte di orazione e scuola di contemplazione, nella quale il monaco parla a cuore a cuore  con Dio. Il silenzio crea, non solo esteriormente, ma anche nel cuore, il contesto in cui questo cuore a cuore con Cristo è reso possibile.

4) Il silenzio “allena alla vigilanza del cuore e alla preghiera solitaria davanti a Dio”. Come ho già detto, abbiamo una costituzione intera sulla “vigilanza del cuore”, che non è che un altro modo per indicare la “preghiera continua” – quella di un cuore che è sempre attento a perseverare nella sua purezza, cioè la limpidezza del proprio desiderio spirituale. “Pur vivendo sulla terra, il loro spirito resta nel cielo, dal momento che essi desiderano la vita eterna con tutto l’ardore della loro anima.”

5) Se noi “interiorizziamo” tutto questo, non è necessario avere numerosi regolamenti concernenti l’osservanza del silenzio, e ogni comunità saprà trovare la maniera di interpretare queste norme dando loro una espressione autentica nella situazione concreta in cui si trova. Per questo nella costituzione è detto semplicemente, come conclusione logica di tutto quanto precede ( “Per questo…”) che i fratelli “in ogni momento, ma soprattutto nelle ore notturne “ (che sono le più favorevoli all’ascolto e alla preghiera) “si applicano al silenzio” .

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Ciò che precede non è certo un commento diretto del capitolo della Regola di san Benedetto sul silenzio (cap. 6), ma corrisponde molto bene al suo spirito. Benedetto  in realtà è più preoccupato dell’uso illuminato della parola in vista di costruire la comunione che dell’assenza di parole. Da tutti coloro che hanno un ruolo speciale nella costruzione della comunità (abate, priore, cellerario, portiere, maestro dei novizi ecc.) esige la capacità di dispensare una buona parola. Da tutti i monaci esige un atteggiamento di ascolto (Obsculta, o fili...) che è l’atteggiamento del discepolo nei confronti del Padre, e che si esprime prima di tutto nell’ascolto della Sua Parola. E’ a questo ascolto che è finalizzato il silenzio.

 

Armand VEILLEUX

(traduzione di Anna Bozzo)