6 febbraio 2000
Capitolo all’'Abbazia di Scourmont
L'Offensiva delle Religioni
Nella mia conversazione
di domenica scorsa, a partire dal capitolo quarto della Regola di San Benedetto
su “Gli strumenti delle Buone Opere”, parlavo della relazione tra la vita
monastica e le altre forme di vita cristiana e umana, e facevo allusione ai
movimenti religiosi e sociali della nostra epoca.
Nello stesso contesto
vorrei ora continuare una riflessione sul fenomeno religioso nel mondo di
oggi. La cosa interessa anche noi
monaci, poiché la vita dei monaci attraverso le varie epoche, è sempre stata
profondamente legata ai fenomeni culturali, sociali e religiosi del loro tempo,
che essi hanno sempre influenzato e di cui essi stessi hanno subito
l’influenza.
Mentre esistono diversi
aspetti della società contemporanea, soprattutto in Occidente, che potrebbero
indurci a credere alla diminuzione del sentimento religioso, possiamo anche
constatare una certa esasperazione
della religiosità attraverso il mondo intero. Sarebbe importante per noi
riflettere su questo fenomeno, per cercare di vedere quale messaggio trarne,
per noi come per il resto dell’umanità.
Un numero recente del periodico
“Manière de voir" che raccoglie una selezione di articoli del mensile
"Le Monde diplomatique" (Nº 48, Nov-Dic. 1999) è intitolato
« L’offensiva delle religioni » e ci offre una discreta visione di
insieme della radicalizzazione del fenomeno religioso nel mondo attuale,
all’alba del Terzo millennio. Un editoriale parla innanzitutto della
“geopolitica delle religioni” e segnala in particolare come i quattro
principali conflitti che hanno insanguinato il pianeta nel 1999 sono, almeno in
parte, conflitti di religione: “ Kossovo (ortodossi/musulmani), Cashmir
(musulmani/indù), Timor Est (musulmani/cattolici) e Cecenia
(ortodossi/musulmani). Molti altri conflitti endemici hanno pure la stessa
caratteristica; penso a quelli di:
Vicino Oriente, Balcani, Irlanda del Nord, Afghanistan, Sudan, Cipro,
Tibet, e anche Algeria, benché il fattore religioso vi sia sempre mescolato ad
altri fattori.
Il Cristianesimo, con
le sue tre grandi correnti (cattolicesimo, ortodossia e protestantesimo) resta
la prima religione mondiale, con 1,7 miliardi di battezzati, e un buon
insediamento nelle regioni del globo a forte natalità (America latina e
Africa). Ha conosciuto tuttavia dei cambiamenti demografici importanti: mentre
appena poco prima della seconda guerra mondiale i primi tre paesi cattolici
erano la Francia, l’Italia e la Germania, oggi sono il Brasile, il Messico e le
Filippine. Si vede dunque che la ridistribuzione geografica del nostro Ordine
nel corso degli ultimi cinquant’anni segue l’evoluzione delle Chiese cristiane
in generale. Sottolineo l’espressione “Chiese cristiane”, perché il fenomeno è
lo stesso nelle Chiese protestanti come nella Chiesa cattolica. Se gli Stati
Uniti restano il primo paese protestante del mondo, la Nigeria è ora il secondo
(a parità con la Germania e l’Inghilterra). La maggioranza degli Anglicani sono
oggi dei Neri (d’Africa, d’America o di Oceania).
La seconda religione
del pianeta è l’Islam (considerato in tutte le sue correnti), con 1,1 miliardi
di credenti. La terza è l’induismo, con 800 milioni. Viene poi il buddismo, con
350 milioni. Se l’induismo resta confinato per il 95% all’India e il buddismo
per il 98% all’Asia, l’Islam conosce, come il cristianesimo, una
ridistribuzione importante. E’ sempre meno arabo e vicino-orientale, visto che
i primi quattro paesi musulmani del pianeta sono l’Indonesia, il Pakistan, il
Bangladesh e l’India.
Si potrebbe parlare a
lungo del segno che hanno lasciato nelle società attuali le grandi religioni.
Così, mentre in Occidente certe persone “colte” pensano che l’apertura mentale
impone loro di prendere le distanze nei confronti della religione, e dal canto loro certi cristiani
tradizionalisti prendono le distanze dalla modernità, non possiamo che
constatare che la modernità occidentale è un frutto della religione.
Jean-Claude Guillebaud (La Refondation du
monde, Seuil, Paris, 1999) ha mostrato il legame tra le religioni
monoteiste e i sei valori che giocano un ruolo fondamentale nella modernità
occidentale : l’uguaglianza, il progresso, l’universale, la libertà, la
democrazia e la ragione.
Tuttavia un aspetto
inquietante del fenomeno religioso nella nostra epoca è la sua radicalizzazione
(espressa nel titolo della rivista citata all’inizio: “L’offensiva delle
religioni”), e il suo mescolarsi alla politica, oppure l’utilizzazione della
politica per imporsi.
Il caso più estremo è
senza dubbio la follia pazzesca dei Talibani in Afghanistan, dove in nome della
religione la popolazione, e soprattutto le donne, sono private di quelli che,
un po’ dovunque nel mondo, vengono ormai considerati come diritti umani
fondamentali. Il caso dell’India è altrettanto tipico. Mentre l’India
post-coloniale, con Nehru, si era costituita sulla base della neutralità dello
Stato nei riguardi di tutte le religioni come principio fondamentale della
Costituzione, il paese è governato dal 1996 da un partito nazionalista
religioso caratterizzato da una animosità estrema contro i Musulmani prima, e
più recentemente contro i Cattolici.
La radicalizzazione
dell’Islam, in particolar modo in certi paesi del Maghreb o in Afghanistan,
conduce gli occidentali a pensare che questa religione è incapace di adattarsi
al mondo moderno. Ora l’Islam, in
quanto fede vivente, dinamica, ha saputo adattarsi, nel corso dei quattordici
secoli della sua storia, a tutte le forme di società e ha saputo mostrare una
grande flessibilità.
La Chiesa cattolica ha
avuto negli ultimi decenni del XX secolo un gran numero di martiri, che
Giovanni Paolo II ha tenuto a onorare e a menzionare più volte (anche se la
maggior parte di loro non saranno mai canonizzati). Ciò che colpisce particolarmente è che, nella stragrande
maggioranza, questi “martiri” recenti non sono affatto dei fanatici che
sarebbero scesi in guerra contro i miscredenti, ma piuttosto delle persone
pacifiche che si sono messe dalla parte dei piccoli e degli oppressi, contro
tutte le forme di fanatismo, sia religioso che politico. Un esempio, tra molti
altri, è quello dei nostri monaci di Tibhirine, che sono rimasti in Algeria
dalla parte della popolazione, oppressa e presa in ostaggio nella guerra tra
due forme di fanatismo, religioso e
politico.
Senza arrivare di
frequente fino ad estremi tragici, come in Afghanistan, in Algeria o in India,
tutte le religioni, compreso il Cristianesimo, comportano dei movimenti
fondamentalisti (o a tendenza fondamentalista) che precisamente nella misura in cui evitano gli estremi, esercitano
una grande attrazione. Essi conoscono
allora facilmente uno sviluppo numerico ed esercitano una influenza politica
che sembrano mancare ai “comuni mortali”.
Se si guarda all’insieme della storia del monachesimo,
constatiamo che talvolta, ma raramente, esso si è lasciato irretire da simili
movimenti fondamentalisti, che hanno potuto procurargli uno sviluppo numerico
importante ma di durata limitata. Se il monachesimo, in seno al Cristianesimo
come nelle altre grandi tradizioni spirituali, è sopravvissuto a tutte le crisi
e a tutte le trasformazioni di società, è perché, per essenza, si situa al
livello più essenziale della religione e della vita umana, quello
dell’esperienza spirituale, della relazione personale con il Dio vivente. Il fatto di rendersi subalterno a correnti
integraliste, quando questi movimenti hanno, culturalmente, il vento in poppa,
potrebbe portargli un certo successo numerico. Ma non è là il suo scopo, né la
sua missione. Questa è piuttosto nel fatto di conservare viva la memoria
dell’essenziale, nel momento in cui le forze estranee alla religione, che
siano, oppure no, bene intenzionate, vogliono utilizzare questa ai loro fini.
Se noi abbiamo una missione nella società di oggi, come l’abbiamo avuta nel
passato, è quella di testimoniare, qualunque sia la nostra popolarità (o in
assenza di popolarità), qualunque sia
il nostro numero – piccolo o grande – il primato di una relazione personale con
il Dio vivente.
Armand Veilleux
(traduzione di Anna Bozzo)